Toscana: inizia il tiro al piccione. Per ora Montalcino si astiene

PiccioneLa Toscana, dopo gli ungulati, lamenta interferenze nelle attività quotidiane e agricole, anche con altri animali. Oggi si parla di volatili e nello specifico di piccioni. Come per gli ungulati la Regione approva un piano per il controllo: come spiccano il volo, soprattutto nei mesi della semina, rischiano le piume. E siccome la stagione della semina è quasi sempre - a seconda dei prodotti - di fatto non avranno mai tregua nel prossimo triennio. Dal Comune di Montalcino fanno sapere che, per ora, salvo un paio di situazioni isolate e tutto sommato sotto controllo, e disposizioni diverse in merito, non c’è in programma di imbracciare i fucili.
Ma non in tutta la Toscana i piccioni avranno vita facile come nella culla del Brunello. Se, infatti, fra il 2010 e il 2015 in tutta la regione sono stati abbattuti 223.272 piccioni, fra il 2016 e il 2018 la Regione autorizza ad abbatterne il doppio: 300mila nella metà degli anni. Infatti nel 2010, ne sono stati cacciati meno di 13mila e nel 2013, il loro annus horribilis, pochi meno di 50mila. Quest’anno potranno essere già 100mila (come quota massima). Del resto - scrive la Regione - questa specie ha uno «scarso valore biologico»; in compenso c’è una forte richiesta «da parte del mondo agricolo di contenere le popolazioni presenti che causano danni notevoli alle produzioni o addirittura impediscono la semina di ampi territori». Stando agli esperti, oltretutto, il piccione sarebbe instancabile in questa operazione di sabotaggio. Da ottobre a dicembre danneggerebbe la semina dei cereali invernali; da marzo a giugno la semina dei cereali primaverili e foraggere; poi saboterebbe anche il periodo della maturazione e della raccolta. In pratica tutto l’anno sarebbero un flagello. E i tentativi di «dissuasione e riduzione dell’impatto sulle colture» finora adottati non si sarebbero rivelati efficaci. Negli anni passati, abbattimenti a parte, in Toscana sono stati utilizzati: dissuasori acustici o ottici nelle colture; recinzioni di copertura «per la difesa diretta delle colture»; sono stati applicati «sistemi di dissuasione all’accesso ai siti di allevamento del bestiame, stoccaggio e magazzini rurali»; sono stati effettuati «interventi strutturali per la riduzione delle risorse alimentari e dei siti di nidificazione con ordinanze di divieto». Secondo le relazioni inviate dalle Province all’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, questi metodi - riferisce la Regione - hanno «presentato problemi di efficacia». Ad esempio «l’utilizzo di dissuasori acustici risulta efficace solo per 3-4 giorni, un lasso di tempo insufficiente a coprire i periodi critici delle diverse colture. I dissuasori ottici hanno un’efficacia addirittura minore in senso assoluto e come tempi di assuefazione». La copertura con reti o altri mezzi delle colture, l’impedimento di accesso ai magazzini, allevamenti o siti di stoccaggio «risulta impraticabile sia per il rapporto costi benefici sia per l’inapplicabilità su larga scala e su ampi appezzamenti, nonché per l’assenza, in molti casi di pareti laterali». Inoltre le eventuali ordinanze di divieto di alimentazione e di obbligo di occlusione fisica all’accesso dei nidi «non sono di competenza della Regione e peraltro risultano di difficile controllo e applicabilità su larga scala in un territorio antropizzato come quello toscano». Pertanto, la soluzione migliore sono «gli interventi di controllo mediante abbattimento». Ma sono con fucili «dei calibri consentiti dalla legge». E con battute di caccia alle quali non partecipino più di 10 persone alla volta. Oltre, ovviamente, agli agenti di vigilanza.

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