Qualcosa di più di un semplice vino dolce, con un altissimo livello qualitativo e sorprendete capacità di invecchiamento. Un vino storico e importante, che può e deve tornare ad essere il simbolo della viticoltura e dell’enologia di Montalcino. Così il wine critic Ian D’Agata si esprime sul Moscadello, l’antico vino di Montalcino prodotto dal Moscato Bianco, che nei secoli ha sedotto poeti e letterati, da Francesco Redi a Ugo Foscolo, prima di essere colpito dalla Fillossera, tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, con i contadini e i vignaioli che ricostruendo il patrimonio viticolo del territorio diedero spazio al Sangiovese Grosso, nonostante l’esortazione di Tancredi Biondi Santi ai “signori padronati a ripristinare le moscadellaie…”.
Oggi la produzione di Moscadello sfiora le 50.000 bottiglie, appannaggio di undici aziende: Banfi, Capanna, Caparzo, Caprili, Col d’Orcia, Il Poggione, La Poderina, Mastrojanni, Mocali, Tenute Silvio Nardi e Villa Poggio Salvi, custodi di una nicchia produttiva ricca di fascino e di una storia da riscoprire e far conoscere, che ha acceso da tempo l’interesse di uno dei più grandi conoscitori del vino italiano nel mondo, il divulgatore e critico Ian D’Agata. Che ha partecipato di recente a una giornata di studio e approfondimento assieme a tutti i produttori di Moscadello, ospiti di Francesco Marone Cinzano, per iniziare “il rilancio di questo magnifico vino, che ha fatto la storia enologica di Montalcino prima ancora del Brunello”, spiega D’Agata.
“Ciò che emerge chiaramente è un altissimo livello qualitativo, che accomuna il Moscadello di Montalcino in tutte le sue declinazioni: frizzante, tranquillo e vendemmia tardiva - sottolinea il wine critic - è un vino molto più complesso e sfaccettato di quanto si possa immaginare, capace di stare perfettamente in equilibrio tra dolcezza e acidità. Con la sua complessità e godibilità è qualcosa di più di un semplice vino dolce, in alcuni casi ricorda un Sauternes, anche nella sorprendete capacità di invecchiamento”.
“Qualche anno fa, parlando con gli amici produttori di Montalcino, è emerso con sempre maggiore evidenza il fatto che un vino storico e importante come il Moscadello di Montalcino stava lentamente finendo nel dimenticatoio. Riunire tutti i produttori, e degustare insieme le diverse espressioni del Moscadello, è un modo per iniziare il rilancio di questo magnifico vino, che ha fatto la storia enologica ilcinese, prima ancora del Brunello”, ricorda Ian D’Agata.
“L’augurio è che questa prima degustazione sia un inizio per parlare non solo di Moscadello e delle sue tipologie in generale, ma anche di cominciare a riflettere seriamente a un rilancio del Moscato Bianco ilcinese, con l’aiuto e il sostegno del Consorzio del Brunello, attraverso studi e ricerche, nei vigneti più vecchi, sugli antichi biotipi di queste piante adattatesi all’habitat di Montalcino, che hanno dato vita nel tempo a piante uniche, diverse dai tanti cloni di Moscato Bianco, pur ottimi, che si trovano nel resto d’Italia. La mia speranza è di aiutare i bravissimi produttori locali, che ancora si cimentano nella produzione di questo vino storico, a pensare a ridargli la sua autoctonicità più vera, e farne di nuovo un emblema, un simbolo della viticoltura ed enologia di Montalcino, in quanto uva e vino prettamente, unicamente, di Montalcino”, conclude il critico.
Per il presidente del Consorzio del Brunello, Fabrizio Bindocci, “recuperare tradizione e storicità del Moscadello di Montalcino in ottica promozionale e contemporanea è una iniziativa lodevole e importante. Siamo convinti che attività come questa proposta dalle undici aziende custodi del Moscadello accresca il valore dell’intera denominazione, oltre a dimostrare il grande dinamismo delle aziende di Montalcino sempre orientate alla qualità e a salvaguardare il valore tangibile e intangibile di un territorio divenuto brand enologico in tutto il mondo”.