Nelle bottiglie era scritto che il vino era Chianti, Brunello di Montalcino e Sassicaia, però dentro c’erano prodotti di bassa qualità, addirittura adulterati dall’alcol. Ma ora, per la frode scoperta nell’“Operazione Bacco”, che ha visto le indagini iniziare addirittura nel 2014, è arrivata la condanna in Cassazione per uno degli imputati, con accuse che vanno dall’associazione a delinquere per frode in commercio, alla contraffazione di marchio e origine del vino. Ad imbottigliare il vino adulterato era un azienda toscana della zona di Empoli, dove venivano applicate le false etichette.
“Stiamo seguendo questo procedimento da dieci anni come studio legale a fianco di alcune imprese produttrici titolari di alcuni dei marchi oggetto di contraffazione ed individuate come persone offese - spiega a WineNews l’avvocato Marco Giuri, dello Studio Giuri di Firenze, punto di riferimento in tema di normativa e legislazione vinicola - sono state pubblicate alcuni giorni fa le motivazioni della sentenza n. 13767/2024 della Sezione V della Cassazione Penale che ha confermato il reato di associazione a delinquere finalizzato alla produzione e al commercio di vino con false Doc, falsi marchi e non genuino per uno dei partecipanti che aveva optato per il rito abbreviato nel processo”.
Era ancora il 2014 quando alcuni ristoratori, titolari di enoteche ed esportatori di vino, operanti nell’area di Prato e Pistoia, hanno segnalato in circolazione bottiglie di vino pregiato che, in realtà, contenevano un prodotto diverso rispetto all’originale, ricorda Giuri. “Dopo queste segnalazioni, ottenuti i primi riscontri investigativi, è stato autorizzato l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche che, unitamente ai servizi di osservazione, hanno poi portato all’esecuzione di perquisizioni ed al sequestro di etichette contraffatte, sigilli di Stato e fascette. La sentenza confermata dalla Suprema Corte descrive un’attività che consisteva nell’acquistare vino di scarsa qualità, nell’aggiungere a questo alcool per aumentarne la gradazione, imbottigliarlo e metterlo in vendita in modo che apparisse essere un vino di pregio falsificando le fascette, le relative indicazioni geografiche, le denominazioni di origine, i relativi marchi e il contrassegno ministeriale previsto per i vini Doc e Docg”.
Un’operazione, dunque, andata ben oltre la “semplice” contraffazione dei marchi, arrivando alla vera e propria adulterazione del vino con l’alcool. “Lo confermo, in questa vicenda non è solo la proprietà industriale a essere stata violata, ma anche l’uso infedele di segni distintivi del vino e della certificazione amministrativa relativa, nonché l’adulterazione del prodotto. Sono state sequestrate diverse bottiglie di alcool 96° la cui detenzione, in quel quantitativo rinvenuto, è assolutamente vietata all’interno degli stabilimenti enologici, cantine e nei locali annessi”.
E così, dunque, almeno per uno degli imputati, si è arrivati alla condanna definitiva. “Per uno degli imputati si è giunti in Cassazione e la Suprema Corte ha confermato la condanna per associazione per delinquere perchè più persone organizzate con compiti diversi hanno, tra l’altro, contribuito alla realizzazione, commercializzazione e alla messa in vendita di vino contraffatto. Più in particolare, la Cassazione - spiega a WineNews l’avvocato Giuri - ha confermato la condanna perché l’imputato aveva partecipato alla finalità illecita dell’organizzazione impegnandosi a reperire e a usare falsamente le fascette di garanzia del vino apposte sulle bottiglie, col fine di ingannare i potenziali acquirenti sulla genuina provenienza e qualità del prodotto. Per altri imputati è ancora in corso il dibattimento davanti al Tribunale penale di Firenze. In questo processo la Procura della Repubblica di Firenze aveva indicato come persone offese, oltre alle aziende produttrici dei vini di pregio contraffatti, anche il Consorzio del Brunello, che si è costituito parte civile, ed i Ministeri della Salute e dell’Agricoltura”.
Una vicenda che dice come il fenomeno della contraffazione di vino, anche in Italia, non sia da sottovalutare. “È essenziale che continui il lavoro di sorveglianza delle aziende e dei Consorzi, di concerto con gli enti di controllo, di certificazione e le autorità investigative preposte. Solo una sinergia e collaborazione stretta di tutti gli attori tutela veramente il nostro made in Italy e le nostre eccellenze del vino”, conclude l’avvocato Giuri.