“I beni della Chiesa non devono essere depredati o svenduti come accaduto in passato. È necessaria una responsabilità collettiva per trasformarli, se necessario, rispetto a quello per cui sono stati pensati, purchè restino strutture che accolgono, di pubblica responsabilità e pubblica fruizione. Penso alle scuole e all’università, come successo a Siena. O qui a Montalcino, con la scelta di destinare il Complesso di Sant’Agostino a qualcosa d’altro, con dentro anche il museo del vino. Questo è mettere nella giusta direzione quell’enorme patrimonio mobiliare che ci troviamo ad avere. La Chiesa e le diocesi non riescono a gestire tutto ciò, il rischio di topi e piccioni c’è. Per questo invochiamo la responsabilità collettiva. La collaborazione è fondamentale. A volte c’è la necessità di alienare certi beni, come la vendita del palazzo vescovile di Montalcino che sarà dispiaciuta a tanti”. Così il cardinale Augusto Paolo Lojudice, in occasione del convegno “Il senso della vite. Il vino tra storia e sostenibilità”, andato in scena ieri al Tempio del Brunello, promosso dall’Arcidiocesi e dall’Associazione Italiana di Agricoltura biologica in collaborazione con Opera Laboratori, il Comune di Montalcino, il Consorzio del Brunello e le agenzie Comunicatio e Zambelli eventi.
“Il vino è citato oltre 200 volte nella Bibbia – ha detto Lojudice – io purtroppo non bevo, appena lo assaggio mi viene sonnolenza. Infatti da Roma mi hanno detto: “Ma questo convegno? Ma non eri astemio?” Io ho risposto con una battuta: bevo solo in servizio”. Lojudice è arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, che dal luglio 2022 si è unita alla diocesi di Pienza-Chiusi-Montepulciano, e guida quindi un territorio che riunisce tante Doc e Dogc. “Qualcuno mi chiama “il vescovo del vino”, ho il meglio del vino della Toscana e del centro Italia, e forse anche oltre”, scherza Lojudice, che si è confrontato con Gadi Piperno, Rabbino capo di Firenze.
“Non è la prima volta che vengo qui a Montalcino, ma la prima in questo luogo (il Tempio del Brunello, ndr), che mette insieme le origini e la tecnologia, il saper andare avanti mantenendo il contatto con la propria storia – ha spiegato Piperno – nell’ebraismo al vino bisogna porre molta attenzione. Ci sono regole molto stringenti. Il problema del vino è come viene prodotto e qual è anche l’intenzione con cui viene prodotto. Un ottimo vino, ma prodotto con l’intenzione di farne un vino per un culto idolatrico e poi esteso a qualsiasi altro culto, non è bevibile per noi. Non è una questione soltanto di ebrezza, è per la spiritualità presente. Il vino per noi ha un livello spirituale talmente alto che deve essere prodotto solo ed esclusivamente per questi scopi più alti. Nella produzione di vino può metterci mano non solo un ebreo, ma un ebreo particolarmente osservante. Questo vale per il vino di qualità. Se invece il vino viene pastorizzato, andrà incontro a regole meno stringenti”. Tra l’altro a Montalcino è presente il vino kosher, cioè adatto ad essere consumato da persone di religione ebraica. Lo produce da otto anni l’azienda di Fabio Tassi.
Nel corso del convegno sono intervenuti anche il cultural manager di Opera Laboratori Stefano Di Bello, che ha ricordato il significato del vino nelle sacre scritture, il sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli, che ha sottolineato le diverse funzioni del Complesso di Sant’Agostino nel corso della storia (convento, scuola, casa di riposo, cinema…), il presidente del Consorzio del Brunello Fabrizio Bindocci, il presidente nazionale di Aiab Giuseppe Romano, il caposervizio de “La Nazione” di Siena Pino Di Blasio, il direttore del Servizio per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso e il direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino Renato Rossi e Don Vittorio Giglio.