Dalle origini di Montalcino al percorso che ha reso celebre il Brunello in tutto il mondo, dai personaggi famosi che lo hanno amato e bevuto al meraviglioso territorio che lo ospita, dalla fabbrica del bello alla Via Francigena, dalla grande borghesia imprenditoriale della città alle nuove generazioni capaci di tramandare la storia di un vino unico e meraviglioso: Federico Buffa ha incantato il pubblico della Fortezza di Montalcino con il suo monologo sul Brunello, uno spettacolo promosso dal Consorzio il cui ricavato, ha spiegato il presidente Fabrizio Bindocci nella sua introduzione, sarà devoluto alla Fondazione del Brunello.
Buffa, accompagnato al pianoforte dal talentuoso maestro Alessandro Nidi, è partito da un episodio che ha visto coinvolto il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (alla fine degli anni Sessanta la segreteria della Presidenza della Repubblica chiamò l’Enoteca Trimani a Roma e chiese sei bottiglie di Brunello per Saragat, l’enoteca non ne aveva e allora partì per Firenze, comprò il vino e lo portò personalmente al Quirinale) e dalla Regina Elisabetta che nel 1969, all’ambasciata italiana a Londra, bevve il Brunello di Montalcino 1955 di Biondi Santi, per Wine Spectator la più grande bottiglia del Novecento italiano.
Buffa ha citato le possibili origini del nome Montalcino, da Mons Ilcinus, “monte dei lecci”, oppure (ipotesi da lui sostenuta) da Lucina, la dea greca del parto, colei che ti porta alla luce, e in luogo magnifico come questo, ha sottolineato lo storyteller, “sono certo che questa divinità sia stata adorata a lungo”. “Montalcino – ha proseguito Buffa – è la cosiddetta fabbrica del bello. Un caso più unico che raro, in nessun altro luogo della terra gli abitanti si sono accorpati con la natura per rendersi più belli”.
La storia di Montalcino, ha detto Federico Buffa, è sinusoidale, capace di picchi e di grandi discese. Una collina in Val d’Orcia la cui posizione diventa prima cruciale e strategica grazie alla Via Francigena - se devi andare a Roma devi passare da qui - e poi sfavorevole, quando nel 1963 arriva l’Autostrada del Sole. Un fatto, questo, che insieme all’abolizione della mezzadria fa diventare la città una delle più povere della provincia. Ma la rinascita avviene grazie a un uomo, Ilio Raffaelli, appartenente a una famiglia di boscaioli senza più mestiere, dopo il passaggio dal riscaldamento con il legname al riscaldamento a gasolio, che diventato sindaco decide che questo luogo “non debba seguire la ormai imperante via dell’industrializzazione all’italiana, perché ci sono le risorse per una via autonoma. Incontra lo sguardo di illuminati e ha ragione lui, perché poco dopo la metà degli anni Sessanta arriva la Denominazione di Origine Controllata e nel 1969 Veronelli, dopo aver assaggiato il Brunello, se ne esce con l’espressione ‘Supertuscan’”.
C’è poi un altro momento di rottura, l’arrivo a fine anni Settanta dei fratelli italoamericani Henry e John Mariani. Con Banfi il Brunello viaggia in America e poi in tutto il mondo, e personaggi famosi, da Mastroianni a Sofia Loren, da Lebron James a Scottie Pippen, fino alla Nazionale italiana di calcio, che non solo ha festeggiato col Brunello la vittoria agli Europei, ma lo ha anche preso come riferimento per una curiosa scaramanzia. “Due giorni prima della partita inaugurale con la Turchia – rivela Buffa – i dirigenti azzurri ordinano una bottiglia di Brunello, ma il cameriere incespica e la fa cadere in terra. Chicco Evani, viceallenatore di Mancini, accorre, smuove i vetri e si mette dappertutto il vino, e dopo di lui fanno lo stesso Vialli, Mancini, Donnarumma, Bonucci, Insigne, Immobile, Chiellini. Tutti quanti si mettono il vino nel corpo, una scena che viene chissà da quale rito. Siccome i calciatori sono superstiziosi, prima di ogni partita, fino alla finale di Wembley, rompono una bottiglia e ripetono il gesto”.
“Mettendo tutto assieme – ha concluso Buffa – partendo dalla Dea Lucina, dal viaggio di Sigerico, dalla fabbrica del bello, dalla grande borghesia imprenditoriale della città, dalle idee, dai pensieri, dalle immaginazioni, dai vini sciamanici, dai vini leggendari, dall’andamento sinusoidale, dalle annate che non si possono dimenticare, dalla vitalità impressionante del luogo magnetico, la sensazione è che il futuro del Brunello sia già scritto nella sua storia, risiede nel suo recente passato ed è vivo in un meraviglioso presente e un futuro che sposerà la lungimiranza della tradizione con la visione senza preconcetti delle nuove generazioni. Ci sono tantissimi produttori poco più che trentenni, in totale controtendenza con il Paese. Domani ci sarà qualcuno che sarà capace di parlare al pubblico del vino con un linguaggio universale, schietto, romantico e credibile. Il vino ha il suo massimo risultato quando regala una sincera sollecitazione al palato, alla mente, al cuore, e quando racconta una storia, la sua. Nel vino non esiste nessun tipo di limite culturale. Intorno al vino e al suo territorio si aggregano sempre dei valori”.
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