Gli scenari futuri del Brunello e del vino italiano

I vigneti di Montalcino“Il Brunello di Montalcino rappresenta uno dei prodotti simbolo dell’eccellenza del vino italiano e ci fa piacere essere qui per portare la nostra visione in rappresentanza di un segmento di mercato importante del Made in Italy. Come manager di un’impresa vitivinicola e come presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino mi sento di dire che ci sono alcune cose da salvare in quest’ultimo maledetto anno. La prima è la reazione sul mercato del vino di punta e dei nostri produttori, che sono riusciti a chiudere in modo molto positivo nonostante la congiuntura estremamente negativa. La seconda a mio avviso è stato proprio il rapporto con gli istituti bancari, che si sono dimostrati e si stanno dimostrando molto vicini a un settore in evidente tensione finanziaria. Gli strumenti finanziari, concepiti velocemente e in maniera più dinamica rispetto al passato, possono certamente rappresentare un sostegno importante. In particolare, a supporto di ciò che rappresenta la spina dorsale del tessuto produttivo italiano, quelle piccole aziende di qualità che hanno subito le chiusure al pari dei loro principali partner commerciali della ristorazione e del fuori casa”. Con queste parole Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, ha aperto il Forum delle economie organizzato ieri da UniCredit, in collaborazione con il Consorzio stesso, per un confronto tra imprenditori ed esperti sugli scenari economici influenzati dalle conseguenze della pandemia e sulle strategie utili alla crescita del business del comparto vitivinicolo.

“Montalcino, anche grazie alle ultime due super annate osannate dalla critica internazionale, è riuscita a non abbassare la guardia, specie sul fronte della valorizzazione del prodotto, dei piani di crescita e della forza commerciale dei nostri imprenditori e del nostro brand – continua Bindocci – ora all’Italia del vino serve prima di tutto riprendere il cammino e ripartire da dove ci si è fermati. Durante le crisi si mettono in dubbio antiche certezze, e così da più parti si alzano voci sulla necessità di riformare il modello di business del nostro settore. Ma non sono d’accordo: la realtà è che nel passato recente il vino tricolore ha viaggiato a ritmi molto più alti di tutti i principali competitor, con un export nazionale cresciuto nell’ultimo decennio di circa il 60% e quello toscano di quasi il 70%. Il nostro settore non deve cambiare quanto piuttosto progredire sulla strada intrapresa, abbinando alla qualità produttiva un affinamento delle risorse commerciali e comunicative. Ed è quello che stiamo facendo a Montalcino, che è riuscito a reagire all’anno del Covid forte del suo brand globale e delle scelte dei suoi produttori. L’interesse di istituti bancari come Unicredit a fare partnership con il settore dimostra che le aziende italiane del vino sono sane e pronte a ripartire, come sta accadendo al nostro Brunello di Montalcino che, rispetto al pari periodo del 2020, nei primi 3 mesi di quest’anno ha registrato un +37% di contrassegni di Stato consegnati per le bottiglie pronte alla vendita”.

Il Forum di UniCredit ha poi ospitato una tavola rotonda a cui hanno partecipato cinque produttori di Brunello di Montalcino: Renzo Cotarella, Ceo di Marchesi Antinori (proprietaria a Montalcino di Pian delle Vigne, Stefano Cinelli Colombini, Ceo di Fattoria Dei Barbi, Giampiero Bertolini, Ceo di Biondi Santi, Gabriele Mazzi, Cfo e Cio di Banfi e Giacomo Bartolommei, Owner di Caprili.

“Sono due i grandi stimoli che ci arrivano dalla pandemia – interviene Giampiero Bertolini – il primo riguarda il consumatore con il quale dobbiamo riprendere il contatto diretto. Vendiamo ai ristoranti, ai buyer ma abbiamo perso la relazione diretta con i nostri consumatori. Il secondo ci rileva che la pandemia ha evidenziato di più il valore della marca: un elemento fondamentale anche per gli stessi consumatori che hanno bisogno di essere rassicurati. La stessa digitalizzazione deve andare in queste due direzioni: ripristinare il contatto diretto con il consumatore e creare valore sulla marca”.

“Se è vero che l’effetto della pandemia sul settore del vino è stata abbastanza impattante – aggiunge Renzo Cotarella – è altrettanto vero che lo stesso settore ha dimostrato una forte capacità di adattamento. L’emergenza ha contribuito ad accelerare un processo già in atto, come le vendite online, e nello stesso tempo ha contribuito a cambiare l’ossessione derivante dalla grande dicotomia tra grande distribuzione e ristoranti. Oggi, infatti, risulta evidente a tutti che è diventato facile reperire e sapere il prezzo del vino e quindi questa preoccupazione del passato è da ritenersi superata. In futuro la competizione sarà più ampia e farà leva su diversi elementi a partire dalla sostenibilità che ora necessariamente deve trovare una definizione. Sulle altre sfide che riguardano i modelli di consumo, come ad esempio i vini in lattina, in espansione negli Usa, è evidente che servirà fare delle valutazioni strutturali perché non tutti i vini a denominazione possono andare in lattina. Lo stesso ragionamento investe anche il tema della gradazione alcolica”.

“Quando parliamo della sostenibilità – spiega Gabriele Mazzi – parliamo non solo di qualità e rispetto ambiente ma anche di territorio, perché un’azienda di vino è in stretta simbiosi con il territorio, i concorrenti e gli stakeholder, e la filiera di produzione si estende e dal nostro cliente va ai fornitori e i partner, tutto ciò che rappresenta la costruzione del nostro prodotto e nostri servizi. In questo senso, all’arrivo della pandemia, ci siamo chiesti cosa sarebbe accaduto non solo all’azienda ma a tutto l’ecosistema. Di fronte a uno stress finanziario l’azienda ha cercato di utilizzare strumenti non propriamente presenti nel settore del vino, come la cessione del credito da parte dei nostri fornitori attraverso un plafond di finanziamento dell’azienda che viene sostenuto anche con la forza del rating aziendale. Sostanzialmente, la forza di tutti è nettamente superiore a quella che un singolo player può giocare in questo momento di difficoltà. Questo ci ha permesso di avere un’apertura di una linea di credito, 25 milioni annui disponibili per i nostri fornitori. Un’azienda come Banfi ha anche il dovere di portare avanti un’innovazione di tipo finanziario e di far capire che questi strumenti possano aiutare quanto i singoli elementi di finanziamento come i pegni rotativi o le normali modalità di finanziamento. Stiamo parlando di una decina di fornitori attivi, è una delle prime operazioni in Italia in questo settore. Un percorso che vorremmo concludere coinvolgendo anche i fornitori saltuari, perché l’aiuto che possiamo darci tutti insieme è rilevante in un momento di grande difficoltà”.

“Sul piano del mercato, per il Brunello di Montalcino, gli ultimi 12 mesi sono stati molto positivi non solo nelle vendite ma anche sul fronte delle giacenze, calate considerevolmente – sottolinea Stefano Cinelli Colombini – e se il nostro vino di punta sta vivendo un ottimo momento a partire dalla fascia più alta dei nostri prodotti, il complesso delle denominazioni toscane sta dando segnali di ripresa, con una crescita dell’imbottigliato dell’11,4% nei primi 4 mesi di quest’anno sul pari periodo 2020. Un quadro della nostra micro-situazione ben diverso da quello nazionale”.

“Ci siamo avvicinati tutti all’e-commerce, specialmente nei mesi del lockdown, e in futuro diventerà sempre più centrale – conclude Giacomo Bartolommei – ma non soppianterà l’impianto attuale della vendita del vino. Dovremmo essere bravi noi ad arrivare all’utente finale. Abbiamo strumenti potentissimi per raggiungere nuovi clienti a un costo più basso delle pubblicità tradizionali. Grande attenzione sarà posta sulla rivoluzione digitale delle aziende, sia dal punto di vista del marketing che della viticoltura di precisione per migliorare le performance dei nostri lavori in campagna. Interventi mirati per non sprecare risorse che sono fondamentali”.

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