Gli animali selvatici, lentamente, stanno cambiando la fisionomia del nostro territorio. L’aumento incontrollato di cinghiali, daini, caprioli, ma anche istrici e tassi, sta mettendo in crisi gli agricoltori, che non possono far altro che “blindare” i propri possedimenti. A Montalcino, ormai, circa tre quarti degli ettari vitati sono dotati di recinzioni, una misura prevista dal Piano Regolatore che diverse aziende, negli ultimi anni, hanno attivato tramite l’autorizzazione dell’amministrazione comunale. Perché il danno potenziale degli ungulati, di fronte a un bene prezioso come il Brunello (ma non solo), è altissimo. Per questo l’allerta è massima, specialmente in un periodo pre-vendemmia. La preoccupazione è estesa a livello regionale (la Toscana ha il maggior numero di ungulati d’Italia) e provinciale.
Si stima che nel senese, per ogni 100 ettari di territorio, ci sono 20 cinghiali. Un numero estremamente elevato se si considera che nel vecchio Comune di Montalcino ci sono 24.000 ettari (il 15% occupato da vigneti). Ma i problemi sono evidenti anche a San Giovanni d’Asso. “Quando cominciai a fare l’agricoltore, nel 2000, non utilizzavo nessun tipo di difesa - spiega Valentino Berni, presidente di Cia Siena - poi ho utilizzato i cani da caccia, poi il recinto elettrico, ora la recinzione, che per via dei caprioli deve essere almeno di due metri e mezzo. Ma ultimamente l’arrivo di istrici e tassi ha creato un altro problema. Lavorano sotto la rete e aprono il varco per gli altri animali. Mi preoccupa l’arrivo di animali non vocati alle nostre campagne agricole. Come gli ibridi dei lupi, che si avvicinano sempre più alle abitazioni”.
Oltre alla sicurezza, c’è anche un aspetto estetico. Un territorio blindato, dove nessun visitatore può camminare o scattare una foto, non è proprio una bella cartolina per Montalcino. Come scrisse più di un anno fa A.VI.TO., associazione che raggruppa 16 consorzi di denominazione di origine toscani, tra cui il Consorzio del Brunello, “se per difendere le nostre colture dovessimo ricorrere soltanto alla realizzazione di “fondi chiusi” dove nessuno può più passeggiare, saremmo i primi a distruggere il paesaggio, quel patrimonio naturale che gli stessi agricoltori hanno fino ad oggi contribuito a preservare e tutelare”.