Ormai la linea è chiara da tempo. Sono diversi anni che governi di ogni colore mettono mano al format dell’esame di Stato, o “esame di maturità”, semplificandone le modalità di svolgimento (con un evidente risultato: tutti promossi). L’ultima è arrivata il 4 ottobre, con una circolare del Miur su proposta della Commissione guidata dal linguista Luca Serianni. Nel 2019 viene confermata l’assenza dell’alternanza scuola lavoro all’esame orale, i test Invalsi non sono obbligatori ai fini dell’ammissione e viene dato più valore al percorso scolastico, con i crediti formativi che passano da 25 a 40. In pratica il triennio peserà per il 40% sul voto finale, contro il 60% dell’esame di maturità. Fin qui tutto come previsto dal pacchetto “Buona Scuola” del Governo precedente.
Le novità maggiori arrivano dalle prove scritte. Sparisce la terza prova, il “quizzone” introdotto nel 1997 dal ministro Berlinguer che univa 4-5 discipline, mentre restano la prima prova (italiano) e la seconda prova, che varranno ognuna 20 punti (altri 20 arriveranno dall’orale). Nella prima prova, quella di italiano, non c’è più il tema di argomento storico. “Non viene cancellato l’approfondimento storico, che è fondamentale e che rientra nelle altre tipologie”, ha affermato a Repubblica il linguista Serianni. Ma la precisazione non è bastata a far scattare le polemiche.
“Sono esterrefatto, è una notizia gravissima. Hanno deciso che dobbiamo perdere la coscienza della nostra esistenza, che non dobbiamo sapere da dove veniamo”, commenta alla Montalcinonews Bruno Bonucci, già professore di storia e filosofia al Liceo Giulio Cesare di Roma. “Non capisco che vento soffi, è una perdita enorme. Non è possibile che il parlamento italiano approvi una legge che preveda la cancellazione della prova di storia dagli elaborati di maturità. Ma come si fa?”. Il tema storico, spiega Bonucci, non era tra i più gettonati. “Era difficile, questo è vero, ma non è giusto che si faccia di tutto per abbassare il tono della preparazione degli alunni”.
Durissima la presa di posizione del Coordinamento della Giunta centrale per gli studi storici e delle Società degli storici (Cusgr, Sis, Sisem, Sisi, Sismed, Sissco). “La scomparsa della tradizionale traccia di storia dalle tipologie previste per l’esame di maturità sembra seguire un percorso di marginalizzazione della storia nel curriculum scolastico, già iniziato con la diminuzione delle ore d’insegnamento negli istituti professionali. Si tratta di un’immotivata novità che riduce di fatto la rilevanza della Storia come disciplina di studio in grado di orientare i giovani nelle loro scelte culturali e di vita (…) e accelera un processo già in atto di riduzione del significato dell’esperienza del passato come patrimonio di conoscenze per la costruzione del futuro. Questa scelta è stata fatta senza che né il Ministero, né la preposta Commissione abbiano mai consultato gli storici, gli insegnanti e gli studenti, nelle scuole e nel mondo accademico (…). Chiediamo con fermezza una rapida revisione del Documento della commissione Serianni e proponiamo al competente Ministro un incontro immediato per illustrare le ragioni e le modalità mediante le quali emendarlo”.
Polemico il commento del giornalista Vittorio Sgarbi. “Mi domando perché a questo punto non si elimini la scuola tout court - scrive in un editoriale su Libero - visto che le materie fondamentali sono state declassate a perdita di tempo. Se la pubblica istruzione è diventata pubblica distruzione conviene chiudere qualsiasi istituto scolastico, almeno ci avanzeremo i soldi per pagare il reddito di cittadinanza”.