“Sono stati tre giorni intensi, belli, di lavoro frontale. Un apporto multidisciplinare dove produttori, enologi, sommelier e direttori commerciali hanno incontrato videomaker, storyteller, webmaster, designer. Segno di quanto il mondo del vino sappia essere variegato. Ammetto che è stato difficilissimo selezionare il gruppo. Le tante domande fanno naturalmente piacere, ma vorremmo dare un’opportunità a tutti. I posti sono stati portati a 22, oltre non si può andare”. Rodolfo Maralli, presidente della Fondazione Banfi, traccia il bilancio della prima edizione della Winter School, il progetto formativo della Sanguis Jovis, prima scuola al mondo sul Sangiovese. Dopo una Summer School più tecnica, l’edizione invernale si è rivolta alla comunicazione e al marketing, e “mi pare che abbia creato molto interesse”, commenta soddisfatto Maralli, durante la cena che venerdì scorso, a Poggio alle Mura, ha chiuso la manifestazione, con la consegna dei diplomi ai 22 partecipanti, dei quali otto “professional” e 14 “student” (finanziati da altrettante borse di studio, offerte da Banfi, Comune di Montalcino, Consorzio del Brunello, Fondazione Bertarelli, A&Elle, Montalcinonews e altri otto partner, tra cui Amorim, azienda leader di chiusure del vino, cioè tappi). Oltre a Maralli, erano presenti anche il presidente di Banfi Remo Grassi, il presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Elizabeth Koenig, il regista Tommaso Imbimbo (uno dei docenti della Winter School), il direttore scientifico e il presidente di Sanguis Jovis, Alberto Mattiacci e Attilio Scienza oltre a Chiara Naso, organizattrice della Winter School. “Faccio i miei complimenti ai ragazzi - spiega Scienza - perché sono entrati negli argomenti, hanno interagito, hanno manifestato una curiosità che spero gli rimanga anche nella vita. Bisogna affrontare il mondo del lavoro da persone curiose e non da persone arrivate”.
Dopo aver rotto il ghiaccio, visto il tono confidenziale della serata, prendono parola anche gli iscritti alla Winter School, come Nicoletta Labarile (“non sono esperta di vino e non so se parlerò mai di vino, ma vi ringrazio. Mi avete consegnato un cassetto degli attrezzi da cui ho preso competenze e passioni”), e Alessia Borrelli: “Non mi scorderò mai la mia prima lezione di viticoltura. Il professore disse che il suo compito era mandare a casa gli alunni con tante domande, con la voglia di sapere. Per questo devo dire solo grazie a quel professore: Attilio Scienza”. “Non è merito mio ma di Platone”, replica Scienza. E giù risate, alimentate dalle battute di Maralli, che si improvvisa moderatore della serata. Quando un altro studente, Raffaele Cecere, gli chiede lumi sui meccanismi di selezione (“dopo tre giorni sono ancora qui che mi domando: come mai hai scelto me?”) lui sta al gioco e replica: “nella foto sembravi uno studente attento, serio!”.
Ma la cena, tra un pacchero alla maremmana con ragout di manzo al coltello e un duo di maiale farcito alle prugne Banfi, accompagnati da un Rosso di Montalcino 2016 e un Brunello di Montalcino 2013, regala anche momenti di serietà e di approfondimento storico. Elizabeth Kroening ricorda i progetti maturati nei 32 anni di vita della Fondazione, come il Museo del Vetro e la balena Brunella, che “ci farà capire tanto sul territorio di Montalcino e sulle sue origini”. Scienza, invece, quando viene servito il Moscadello, spiega l’importanza di “un vino storico ma che sta morendo, il Brunello gli ha fatto ombra e sono pochi i produttori a crederci. Eppure Montalcino era nota per il Moscadello, il vino del Rinascimento. Ci sono odi, poesie e racconti che ne parlano. Poi la storia ha avuto un altro esito, un altro percorso. A quel tempo andavano di moda vini ossidativi, ma alla fine del Seicento la rivoluzione delle bevande cambia tutto l’assetto europeo. Arrivano il Whisky, il Cognac, il vino dolce delle regioni atlantiche che non erano mai riusciti ad entrare nel Mediterraneo. Venezia va in crisi perché non capisce che è l’America il vero mercato. La comparsa della borghesia fa la differenza. La vera novità la dà il consumatore, è lui che determina il cambiamento”.
Dopo il secondo prende parola anche Remo Grassi. “Le aziende crescono quando incontrano giovani col vostro spirito - spiega -. Banfi è stata, nel 2015, la prima azienda al mondo ad ottenere la Certificazione Etica. Un messaggio del senso di coesione e partecipazione che abbiamo, del valore e dell’amore che si deve mettere nelle azioni di tutti i giorni. La cosa importante nella vita è tenere sempre presente l’importanza della condivisione, dell’amore, dell’umiltà. Solo così si può crescere. Il nostro motto è la regola delle tre C: comunicare e condividere per crescere. Con i primi due concetti, il terzo viene da solo”.
E il messaggio di condivisione, in un certo senso, arriva proprio da Sanguis Jovis. Il progetto è partito da Banfi, ma è stato sposato dal Consorzio del Brunello e dal territorio, con rappresentanti di quattro cantine di Montalcino presenti alla Winter School: Argiano, Canalicchio di Sopra, La Gerla e Talenti. “Il lavoro della Fondazione è un valore aggiunto al territorio per far conoscere sempre di più il Sangiovese - sottolinea Riccardo Talenti - il mio è stato un approccio curioso, i social come avete capito per me sono un mondo estraneo ma ne esco fuori arricchito, stimolato, e da domani forse avrò un approccio diverso nel raccontare la mia azienda”.
Prima di chiudere, quasi a non voler staccare il filo conduttore, Maralli ricorda i “Montalcino Colloquia”, incontri con professionisti, narratori, professori e ricercatori che partiranno a giugno, prima del Jazz&Wine, altro evento firmato Banfi. E a settembre torna la Summer School, alla seconda edizione. Di cosa parlerà? Risponde Attilio Scienza, con un’altra domanda: “quale sarà il Sangiovese del futuro? È un quesito lecito da porsi. Il Sangiovese che conosciamo cambierà, non so se in bene o in male ma sarà diverso. I modelli tecnologici del passato si stanno modificando, si sta affermando il modello di vino meridionale, quasi australiano”.
L’ultimo saluto è un omaggio a Rudy Buratti, il direttore enologo scomparso lo scorso 13 gennaio. Lacrime di commozione scendono dai volti di chi lo conosceva bene, di chi aveva passato una vita, non solo professionale, assieme a lui. Buratti ha avuto un impatto enorme nell’azienda. Portare avanti le idee della Fondazione è anche un modo per ricordarlo.