La zona è quella della Doc Montecucco, sul versante occidentale del monte Amiata confinante con il fiume Orcia, dove, nel 2003, sotto la guida del dottor Giuseppe Tochetti, esperto selezionatore di cloni, è iniziato un lavoro di circospezione territoriale e studio finalizzato ad approfondire le conoscenze su due biotipi di Vitis vinifera localmente denominati Brunellino e Brunellone, il tutto finalizzato a valorizzare la produzione locale e recuperare le caratteristiche organolettiche tipiche dei vini tradizionali della zona, riproducendo le antiche caratteristiche ambientali e biotipiche del territorio. È la cantina di Perazzeta ad aver sostenuto il progetto promosso dal Consorzio Agrario di Grosseto in collaborazione con Vitis Rauscedo reimpiantando un mix di cloni antichi provenienti dalla zona dell’Amiata. “Solo grazie alle analisi del Dna - spiega Giuseppe Tochetti - si è riusciti a dipanare, almeno in parte, l’aggrovigliata matassa che, quando si tratta di nomi varietali, presenta sempre un cocktail micidiale di vere e false sinonimie. Il Brunellino si è rivelato un biotipo del Sangiovese mentre il Brunellone in realtà è stato catalogato come un biotipo di Ciliegiolo”.
Se, di partenza, il progetto potrebbe assumere delle peculiarità interessanti, non sembra però limitarsi all’aspetto strettamente legato al recupero di varietà di vitigni un tempo coltivati in Maremma. E una domanda sorge spontanea: è evidente che, la denominazione di alcuni dei cloni riportati “a nuova vita”, si leghi inesorabilmente al famoso, conosciuto e apprezzato Brunello di Montalcino, la bandiera dell’enologia italiana nel mondo, oltre al fatto che la curiosa scoperta riguarda proprio un territorio quanto mai vicino a quello del celebre rosso. Possiamo parlare di questo studio come di un’operazione di marketing che sfrutta il nome del Brunello per creare, tra esperti e appassionati, un interesse per vini meno conosciuti al grande pubblico? Montalcino e il suo Brunello devono sentirsi onorati o minacciati da questo uso, troppo spesso improprio, del nome, dell’immagine e della fama che il Brunello ha acquisito a livello planetario?
Da parte sua, il Consorzio del Brunello, ha detto a MontalcinoNews il direttore Stefano Campatelli, intende approfondire la questione, non rilasciando per il momento alcuna dichiarazione. Questione che, così come tutte quelle che molto spesso vedono il nome Brunello usato impropriamente, appunto, deve essere approfondita, perché anche a Montalcino, come già avviene per molte importanti denominazioni dell’Italia del vino, si inizi a interrogarsi sulla tutela di un marchio, simbolo sì di tutto un territorio, ma, soprattutto del Made in Italy nel mondo.