Giovedì scorso si è spento a Roma uno degli artisti contemporanei più amati e apprezzati a livello internazionale e che ha lavorato anche a Montalcino: Jannis Kounellis, esponente di primo piano dell’arte povera, è morto all’età di 80 anni, dopo un ricovero a Villa Mafalda a Roma. E nei giorni del lutto e dei funerali la MontalcinoNews vuole portare l’attenzione su una delle sue opere e sullo stato in cui essa fersa. Arrivato a Montalcino nel nuovo millennio, Kounellis ha “donato” alla città una delle sue opere più “forti”. Nell’antico pozzo che si trova in Piazza Santa Caterina, di fianco al Duomo di Montalcino, con un lavoro di chiaro impatto filosofico, Kounellis ha forato il coperchio del pozzo in tre punti, in modo che fosse possibile guardare giù nella buca da tre diversi lati. Si tratta di un intervento che invita il pubblico a osservare il fondo (in questo caso del pozzo) da punti di vista diversi. L’invito di fermarsi e scrutare bene da vicino e da diversi lati anche ciò che sembra banale
continua quando scopriamo le migliaia di paia di occhiali ammucchiati sul fondo del pozzo.
L’opera, di forte valore artistico e concettuale, ha avuto, nel tempo, fortuna altalenante. Se in molti hanno apprezzato l’idea e la filosofia che la contraddistinguono, in tanti non hanno compreso l’importanza dell’installazione e dell’autore ed oggi, il Pozzo di Kounellis “giace” abbandonato a sé stesso e nell’incuria. Affatto valorizzato e spesso utilizzato dai passanti, come fosse un cassonetto della spazzatura.
Focus - Jannis Kounellis, vita e opere
Arrivato nella Città Eterna dalla Grecia nel 1956, appena ventenne, nella capitale aveva frequentato l’accademia di Belle Arti, sotto la guida di Toti Scialoja. Il suo esordio era stato con una mostra personale nel 1960 alla galleria romana “La Tartaruga” in via del Babuino, posto mitico di ritrovo per artisti e intellettuali. Erano altri anni, in giro c’era voglia di cambiare. Kounellis aveva baffi e zazzera nera. L’invito a quella mostra s’intitolava “Alfabeto” ed era un’esplosione su sfondo bianco di lettere e parole in libertà. Dopo qualche tempo Kounellis iniziò ad usare materiali organici e inorganici, a organizzare performance. Risalgono al 1967 le prime mostre che lo avvicinano all’arte povera, in cui mette insieme animali vivi e putrelle di ferro, sacchi di juta: pezzi di carne e legno Anche questo è il superamento di una soglia. L’arte tradizionale è ormai alle spalle. Quando doveva spiegare a chi si era ispirato, quando gli veniva chiesto di fare il nome di un maestro, un modello, lui rispondeva Pollock. Non amava la pop art, ma paragonava Pollock ai grandi innovatori del passato, a Caravaggio e Masaccio. Tra le mostre più incredibili della sua prima fase creativa, l’esposizione-performance nel 1969 di cavalli vivi nella galleria romana di Fabio Sargentini. Negli anni Settanta a San Benedetto del Tronto riuscì a murare una porta con delle pietre. Ormai era diventato un artista internazionale, la sua arte aveva varcato le frontiere: Baden-Baden, Londra, Colonia. Due anni dopo partecipava per la prima volta alla Biennale di Venezia. Negli anni Ottanta urtava le nostre sensibilità esponendo quarti di bue macellati a Barcellona. Le sue opere sono esposte nei musei di tutto il mondo. Nel nuovo millennio aveva prediletto il Sud America, l’Argentina e l’Uruguay. Era un tipo ombroso, amante delle tonalità scure dei quadri di Goya. Considerava il suo studio il suo teatro. E infatti è una rappresentazione teatrale uno degli interventi più belli dell’ultima fase: nel luglio 2016, alla Pescheria Pesaro, un cavallo vivo attraversa una stanza . Per terra, sul pavimento, giacciono abbandonati corpi ricoperti da teli bianchi. Era il suo modo per parlare della morte.