A Montalcino vigne e cantine sono beni rifugio come l’oro e i preziosi. E, nei giorni in cui un’indagine attesta che il Brunello è primo in classifica nel borsino dei vigneti con il valore di un ettaro di vigneto che oscilla tra i 350.000 ed i 400.000 euro, si torna a parlare di compravendite sul territorio di uno dei vini più amati al mondo. Stando ai rumors, raccolti da WineNews, uno dei siti più amati dagli amanti del buon bere, Francesco Leanza, fondatore di Podere Salicutti, avrebbe ceduto la proprietà ad un imprenditore tedesco, pur rimanendo nel management dell’azienda. Ultima di una serie di acquisizioni che, a Montalcino, iniziano a partire dagli anni ’70 con la famiglia italo-americana Mariani che arriva a Castello Banfi. Si prosegue con l’acquisto, nel 2000 del Palazzone da parte di Richard Parsons, fino al gruppo del Caffè Illy, dal 2008 proprietario della cantina Mastrojanni. Risalgono invece al 2011, l’acquisto da parte di Louis Camilleri della Tenuta Il Giardinello e la vendita di Poggio di Sotto a Claudio Tipa della famiglia Bertarelli. Del 2012, poi, la vendita di Poggio Landi, ad un imprenditore argentino, l’acquisto di Tenuta Oliveto da parte della Soleya International Corporation di Panama, e l’annuncio di nuove acquisizioni di Saiagricola su La Poderina. Mentre nel 2013 ha visto il passaggio di Argiano dalla contessa Noemi Marone Cinzano ad un gruppo di investitori brasiliani. È poi la volta, a settembre 2014 di Le Macioche che passa nelle mani di tre imprenditori e amici di vecchia data Massimo Bronzato, Stefano Brunetto e Riccardo Caliari, e, nel 2015 la Fattoria Casisano Colombaio acquisita dalla famiglia dell’Amarone, i Tommasi e della Cerbaiona che da Diego e Nora Molinari, da 38 anni proprietari dell’azienda di Montalcino, è passa nelle mani del gruppo guidato da Gary Rieschel. Ma tutte queste acquisizioni, soprattutto quelle che avvengono grazie a fondi e capitali stranieri, rappresentano per Montalcino un pericolo o una occasione? Come è vero che, in un mondo fatto di contaminazioni, sarebbe insensato ritenere una minaccia la fusione culturale che avviene continuamente in ogni ambito, altrettanto vero è che, per territori e prodotti di eccellenza come quello di Montalcino, è essenziale non perder di vista l’identità territoriale, fatta di storia e cultura, caratteristica fondamentale per cui il Brunello è apprezzato, conosciuto e ricercato in tutto il mondo. Il pericolo si presenta se, ad investire sono acquirenti che, alla ricerca di profitti facili e veloci, puntano su marchi di eccellenza, conosciuti e già forti sul mercato, che decidono di non investire e vigilare sulla qualità, identità e unicità del prodotto. Ed è proprio per scongiurare questo pericolo che è necessario che i territori interessati da questo fenomeno concentrino le proprie energie, attraverso anche i Consorzi di tutela, sulla preservazione, la valorizzazione e la comunicazione dei tratti che rendono tipiche e inconfondibili le produzioni vitivinicole come quella di Montalcino e del suo Brunello.
dati a cura di 3BMeteo
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