Come sottolineava Paolo Cammarosano nella sua breve e densa nota storica del “Repertorio” delle terre fortificate della repubblica di Siena, sappiamo che, già alla fine del XII secolo, Montalcino era un Comune autonomo. E la più antica testimonianza diretta che conosciamo sulle istituzioni montalcinesi, alla quale si riferiva il tedesco Robert Davidsohn nella sua “Storia di Firenze”, risulta esserne la conferma. Si tratta di due brevi documenti contenuti in una pergamena conservata nell’Archivio di Stato di Firenze redatti dal notaio Agostino da Montalcino. Il primo documento datato 29 ottobre 1191, è la “definizione” di una sentenza del podestà Enrico da Parlascio per un processo tenuto dal suo giusdiscente; il secondo, è la sintesi di un arbitrato emesso sempre dal podestà il 27 aprile dello stesso anno.
Il processo è tenuto nel tribunale di Montalcino per la rivendicazione da parte del prete Mercenario del diritto di proprietà su una terra che al momento è tenuta dai figli di Morello da San Polo, mentre il lodo è emesso per la pretesa di Ranuccio di Mangone avanzata su un pezzo di terra dello stesso podere di San Polo. La sentenza del tribunale di podestà e la liberatoria pronunciata nell’arbitrato, sgombrano da ogni dubbio quanto ai diritti degli eredi di Morello da San Polo, come si può leggere nei due brevi documenti. Non è possibile sapere invece su che basi fossero avanzate le rivendicazioni. Il ricorrente Mercenario voleva affermato il suo diritto su una terra posta nel territorio di San Bartolomeo, mentre Ranuccio di Mangone aveva rivendicato un pezzo di terra posto nel podere dove aveva abitato Morello.
La vicenda, pur minima, ci riporta ad un momento in cui il governo comunale ha raggiunto istituzionalemente a Montalcino la forma più evoluta, quella podestarile, che sappiamo ordinato da uno statuto generale e con una giurisdizione che si presenta estesa ad un distretto che si intuisce essere corrispondente già al territorio storico montalcinese che resterà tale fino al secolo XVIII.
Le origini comunali dobbiamo pensare che abbiano preso avvio almeno dalla metà del XII secolo: prima con la collaborazione fra l’autorità religiosa, esercitata dal priore vicario dell’Abate di Sant’Antimo, ed un consiglio di “bnoni homines”, poi nel comune dei consoli per approdare infine alla forma podestarile. Processo analogo a quanto avviene nelle città vescovili dell’Italia centrosettentrionale nel quale l’odierna storiografia riconosce determinante il ruolo d’impulso avuto dai vescovi, che a Montalcino è da attribuire all’autorità dell’abate depositaria, fin dalle origini dell’incastellamento del IX-X secolo, della sovranità. Non è del resto privo di significato che Montalcino, dopo la metà del XII secolo si muova quale soggetto nelle relazioni con le altre comunità. Alleato di Siena nella sfortunata guerra contro Firenze 1174-1176, stringe presto l’alleanza difensiva con la città dell’Arno fino a rappresentare uno dei centri più importanti del guelfismo della Toscana meridionale.
Quanto al podestà Enrico è interessante chiedersi perchè egli provenga da Parlascio, un castello del territorio di Pisa. La risposta possiamo trovarla forse nell’esistenza negli antichi diritti signorili esercitati dall’Abbazia di Sant’Antimosu chiese e castelli nel territorio del Valdarno inferiore (Lucca, Pistoia e Pisa), diritti ancora esercitati agli inizi del Duecento.
Può inoltre sorprenderci la non conoscenza di altri podestà montalcinesi fino agli anni Trenta del XIII secolo. Ma dobbiamo considerare il travaglio di quei decenni, fattosi tragico con l’aggressione senese scatenata già nel 1198.montalcino patì il lungo assedio delle forze cittadine, guidate dal primo podestà senese Filippo Malavolti e fiancheggiate da uomini di Poggibonsi e di Montepulciano e soverchiata capitolò nel settembre 1201, dopo la minacciosa intesa stretta nel marzo tra Siena e Firenze al poggio di Fonterutoli. Poi la storica cessione parziale di diritti dell’abate in favore di Siena nel 1212. infine, dal 1229 la lunga ostilità armata che si chiuderà con il 1235 quando Siena, sconfitta da Firenze, rinunciava solo momentaneamente al controllo su Montalcino. Tutti avvenimenti che avevano senz’altro scompaginato le istituzioni montalcinesi. È allora che conosciamo due podestà risieduti nel palazzo di Piazza “Padella” (Piazza Garibaldi) negli anni Trenta: prima il giovane montalcinese Lupo di Tinaccio e poi il fiorentino Jacopo di Schiatta che, non a caso giungerà nel castello nel 1235. inoltre non sidimenticherà mai in proposito la mai lamentata a sufficienza dispersione dell’archivio dell’Abbazia di Sant’Antimo e la distruzione dell’archivio comunale di Montalcino del 1444.
Tornando al 1191 per soffermarsi infine sui luoghi indicati nei due documenti.
San Polo era ed è posto ad un passo dall’antico itinerario di collegamento fra la Val di Chiana e la Maremma, nel tratto di attraversamento della Valle dell’Asso provenendo da Torrenieri verso Castelnuovo dell’Abate nell’area di territorio montalcinese indicata come “in curte Sancti bartolomei”. È in quell’area che si ritiene esistito infatti l’ospedale di San Bartolomeo della Strada. Il bibliotecario Adolfo Temperini nel suo breve libretto sugli Spedali del Territorio di Montalcino ci dice che il piccolo ospedale: “sorgeva nel Poggio delle Caselle, in faccia al Pinsale, a poca distanza dall’antichissimo oratorio di San Piero ad Asso” mentre ne coglieva naturalmente il carattere di ospizio per viandanti. Il riferimento al San Bartolomeo è anche da considerare la più antica testimonianza che conosciamo di un ospedale nel territorio di Montalcino, attivo ancora nel 1341. quanto al prete Mercenario appare possibile che sia stato il rettore della chiesa di San Pietro, mentre un Donato di Mercenario lo leggiamo fra i giurati montalcinesi del 1212.
Focus - I testi, in volgare, dei due documenti
“In nome della Santa e Individua Trinità. nell’anno 1196, indizione nona, ottobre 29, al tempo di Enrico imperatore dei Romani. Io Enrico da Parlascio podestà di Montalcino così definisco la lite che verteva fra i figli di Morello di San Polo e il presbitero Mercenario. Reclamava infatti Mercenario presso Enrico (podestà) una terra della corte di San Bartolomeo dicendo che doveva tornare in suo diritto e quindi sosteneva che essi (i figli di Morello) dovevano fare atto di fedeltà. Essi invece affermavano di dover riconoscere a lui il diritto sulla terra che non avevano avuta da lui. Presa visione di tutte le prove e uditi i testimoni dell’una e dell’altra parte, assolvo e libero i predetti figli di Morello dalle rivendicazioni del tetto Mercenario perchè egli non ha potuto con i suoi testimoni provare vero ciò che ha sostenuto. Fatto in Montalcino alla presenza di Oderrigo di Giovanni, Matteo di Goço, Andrea calzolaio e altri boni homines”.
“Io Agostino notaio ho scritto per mandato di messer Enrico. Nello stesso anno, il 27 marzo dello stesso anno furono liberati i figli di Morello dalla rivendicazione di Ranuccio di Mangone di un pezzo di terra del podere predetto (San Polo) al quale di sotto e da un lato è la strada, dalla seconda parte di fossato e di sopra sono i termini. Testimoni i figli di Contrada, Oderigo Manuel e Ildibrandino di Mataleone. Io Agostino notaio ho scritto per mandato di Enrico.