Quale direzione stanno prendendo di Consorzi del vino? Ne hanno parlato, sul palco del Teatro degli Astrusi di Montalcino, i vertici di alcuni dei Consorzi più importanti d’Italia, con il talk “Quale futuro per i consorzi del vino”, in occasione dell’edizione n.33 di Benvenuto Brunello. Introdotti dal vicedirettore del “Corriere della Sera”, Luciano Ferraro, sul palco si sono alternato Fabrizio Bindocci, presidente Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, Albiera Antinori, presidente Consorzio per la Tutela dei Vini Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, Christian Marchesini, presidente Consorzio Valpolicella, Giovanni Manetti, presidente Consorzio Vino Chianti Classico, Graziano Nicosia, vicepresidente Consorzio Etna, e Sergio Germano, presidente Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.
Iniziando dal peso del ruolo dei Consorzi, Albiera Antinori, ai vertici della Doc Bolgheri, ha spiegato che “la principale funzione di un Consorzio di una denominazione rimane quella della tutela, e quindi di tutelare in giro per il mondo il nome ed i prodotti. Altra funzione è dare un indirizzo strategico alla zona coinvolgendo i soci, creando così coesione e fiducia, affrontando argomenti che possono cambiare in un mondo che va veloce: faccio l’esempio della sostenibilità, della densità degli impianti nella propria denominazione a seguito degli impatti climatici, ma i temi possono essere svariati. Il Consorzio per me, però, non può sostituirsi alle aziende che devono avere la loro promozione, esserne i motori, all’interno di un quadro generale, anche perché dentro ai Consorzi ci sono compagini che possono essere molto diverse, è molto difficile fare qualcosa che vada bene per tutti”. Per Christian Marchesini, presidente del Consorzio dei Vini della Valpolicella, “i Consorzi sono attualissimi, molto contemporanei, ma la nostra funzione deve essere sempre più supportata dal settore pubblico. Rappresentiamo territori di successo, ma abbiamo anche la responsabilità di mantenerli. Le tre funzioni che sono quelle di tutela, vigilanza e promozione sono fondamentali. Noi sulla tutela abbiamo una lunghissima storia, soprattutto nei Paesi anglosassoni affrontiamo dei costi notevoli. Spendiamo infatti oltre 200.000 euro ogni anno per difenderci, ma portiamo a casa circa 700.000 euro di rimborso, per i costi legali, ma soprattutto per l’ingiusto utilizzo dei nostri marchi”. Sergio Germano, ai vertici del Consorzio del Barolo e del Barbaresco, ha aggiunto che “il compito del Consorzio è proprio quello di fare la promozione alla denominazione ed al territorio, non ai singoli brand, ovviamente. Ci dobbiamo muovere nel mondo come territorio, la tutela è scontata ed è importante anche per la gestione dei vigneti, ma la promozione di un territorio, la sua divulgazione capillare, è rilevante per rendere consapevoli i consumatori”. Per Graziano Nicosia, ai vertici del Consorzio dei vini dell’Etna, presieduto da Francesco Cambria, “il Consorzio continua a mantenere il suo ruolo di tutela che, secondo me, andrebbe anche rafforzato. Ma non possiamo prescindere dalla promozione; l’Etna è un fenomeno che nasce forse prima all’estero e poi in Italia come riferimenti di mercato, Stati Uniti in primis. Rafforzare la promozione è importante all’estero, ma anche nell’incoming. Se ci può essere una criticità la trovo nei bandi che esistono, rivolti alla promozione, dove spesso i Consorzi sono parametrati alle aziende ed hanno molta più difficoltà ad ottenere punteggi nelle graduatorie”. Giovanni Manetti, presidente del Consorzio del Gallo Nero, ha ricordato che il Chianti Classico “festeggia i primi 100 anni di vita, è il primo Consorzio nato in Italia non solo per il vino, ma di tutto l’agroalimentare. Siamo andati a rileggere la nostra storia, nel 1924 ci fu un gruppo di 33 viticoltori che decisero di mettere da parte tutti i loro interessi individuali per unire le forze e dare vita ad una casa comune. Nel 1924 gli obiettivi erano la tutela e la promozione, sono passati 100 anni, i soci del Consorzio Chianti Classico arrivano oggi a 500, le nostre bottiglie arrivano a 37 milioni distribuite in 160 Paesi, ma gli obiettivi sono sempre quelli. Chiaramente vanno attualizzati, la promozione adesso è molto più complessa, i gusti dei consumatori sono variabili. Ci tengo a sottolineare l’aspetto della difesa, che sarà sempre più legata al territorio, che è l’asset più importante che noi abbiamo perché è il fattore produttivo che più dona unicità, personalità e che consente al prodotto di non essere replicabile”. Sul tema della sostenibilità, Manetti dice che “bisogna guardare lontano, ci vogliono visione, lungimiranza. Noi abbiamo messo in cantiere il “Manifesto di sostenibilità”, un programma cucito sulla realtà del Chianti Classico e che include requisiti fondamentali, come quello di condurre l’azienda secondo i criteri dell’agricoltura biologica, biodinamica o integrata, non usare concimi o diserbanti chimici e, dal punto sociale, usare almeno il 50% del personale alle dipendenze dirette”. Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, ha rimarcato l’importanza “del lavoro di produttori particolarmente attenti alla gestione del territorio, il Consorzio sta facendo da apripista, ma ci sono già diverse aziende che si sono mosse. Dobbiamo lasciare ai nostri nipoti e alle generazioni future che verranno, un territorio sicuramente migliore o almeno uguale a quello che abbiamo trovato noi. La forza del Consorzio del Brunello di Montalcino è stata quella di partire nel lontano 1967 e arrivare ad oggi avendo avuto sempre una crescita di soci, oggi sono 160. Abbiamo visto che l’unione fa la forza, a livello di promozione, se stiamo tutti insieme la spesa si riduce e il risultato finale è maggiore. Sul tema della contraffazione, quando un brand diventa famoso si cerca di copiarlo. Investiamo cifre importanti del bilancio, ma spendere per la tutela del marchio significa investire bene, non possiamo abbassare la guardia. Il Consorzio dà le linee guida, lo abbiamo visto nell’allargamento degli ettari nel disciplinare del Rosso di Montalcino, facciamo da megafono, poi sono i soci a dire sì o no ad un cambiamento”. Tra i temi di attualità c’è anche quello di attribuire maggiori deleghe ai Consorzi in tema di enoturismo. Albiera Antinori dice che “sull’enoturismo, se lo vogliamo vedere come un veicolo di promozione sul territorio, e non solo del vino, è giusto che i Consorzi ne abbiano la possibilità. L’enotusimo sarà sempre più importante, per il consumatore c’è molto interesse per vedere il vino dove viene fatto, l’arte, la cultura, il paesaggio, tutte le vare peculiarità. Come Antinori nella cantina del Bargino abbiamo circa 35/40.000 visitatori paganti, è diventato un centro della comunicazione del nostro vino, del Chianti Classico e della Toscana”.
E poi ci sono i dazi “promessi” da Trump, dove, per Antinori, “riuscire ad intervenire sull’applicazione o meno è “mission impossible”. Il vino si dovrà vendere in ogni caso, forse bisognerà ricevere più persone qui per creare cultura, fascino, interesse, aspettando che i dazi passino”. Ma quali armi ha un Consorzio per affrontare le difficoltà del mercato? “Dobbiamo accompagnare le aziende - commenta Giovanni Manetti - un bell’evento che funziona porta vantaggio a tutti. Con una domanda fiacca e lo spettro dei dazi, l’unica cosa che un Consorzio può fare è migliorare il proprio lavoro, dare maggiore intensità a tutte le azioni. Abituiamoci poi a guardare a medio termine, i contadini di una volta dicevano che i conti si fanno ogni dieci anni”. Christian Marchesini è convinto che “il Consorzio deve avere sempre più la capacità di fare promozione e la politica deve dare degli strumenti, delle risorse per affrontare i mercati in modo più concreto. Sull’enoturismo è fondamentale il coordinamento, all’interno dello stesso territorio, di tutti quegli enti che fanno promozione come la Strada del Vino. Dobbiamo avere la capacità di fare le attività insieme per non perdere delle risorse. Per quanto riguarda i dazi rimango invece positivo”, esattamente come il presidente del Consorzio del Brunello, Fabrizio Bindocci. Il boom dell’enoturismo ha interessato in grande misura anche il territorio delle Langhe: “per l’enoturismo - spiega Sergio Germano - il vino è la causa prima di questo fenomeno. Va promossa la nostra filosofia, e quindi il vino non solo come bevanda, e soprattutto non come moda, perché rappresentiamo dei classici che devono mantenere la loro identità storica, la loro contemporaneità”. Sostenibilità, comunicazione ed enoturismo con un focus ancora maggiore sul territorio, è la ricetta del futuro anche per Graziano Nicosia, per cui “una maggiore comunicazione è necessaria, ma questa passa anche per una buona politica, sulla strategia per la sostenibilità, sulla formazione dei produttori anche per affrontare i mercati esteri. Sono d’accordo nel rafforzare l’enoturismo con delle partnership con chi già si occupa di questo settore”.