Ogni volta che a Montalcino viene aperta una bottiglia di Brunello si producono sul territorio 117 euro tra impatto diretto, indiretto e indotto - il quadruplo rispetto al valore di una bottiglia di vino franco cantina - per un totale di circa 153 milioni di euro l’anno. Un vero e proprio effetto moltiplicatore che si riscontra anche nell’enoturismo e nei servizi ad esso connessi, in un territorio di poco più di 5.000 abitanti che registra oltre 200.000 presenze l’anno, di cui oltre la metà provenienti dall’estero, un giro d’affari di circa 80 milioni di euro, per una spesa pro capite giornaliera, al netto dei viaggi, intorno ai 120 euro, e una ricchezza diffusa con indicatori di reddito superiori alla media regionale (24.400 euro contro 21.100), in visibile aumento rispetto anche alla media italiana (+38% contro l’11% di crescita decennale). A dirlo l’analisi “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto” firmata dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia, presentata ieri a Vinitaly, voluta da Veronafiere sulla scorta dei frequenti attacchi rivolti alla “bevanda nazionale” per calcolare l’impatto prodotti dal vino sull’economia del Belpaese, con un focus su tre territori simbolo del tricolore: Barolo, Etna e Montalcino, dove un ettaro vitato a Brunello vale quasi otto volte un pari appezzamento in altre zone della Toscana (1 milione di euro contro 129.000 euro).
“Togliere il vino al Belpaese equivarrebbe, in termini di Pil, a cancellare quasi tutto lo sport italiano, compreso il calcio”, afferma Veronafiere, l’ente che organizza la kermesse, in una nota. “L’Italia senza il vino sarebbe una Nazione più povera, non solo a livello culturale e ambientale, ma anche sul piano economico, in quanto il settore vinicolo è un asset strategico per l’occupazione e per l’export italiano nel mondo - afferma il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida - il vino è un elemento prezioso che va protetto nella sua integrità, nella qualità e il nostro compito è, al fianco degli imprenditori, quello di renderlo sempre migliore e attrattivo. Il Governo Meloni, da subito, ha compreso l’importanza del settore e delle filiere annesse, per questo l’ha messo al centro della sua agenda, valorizzandolo e rendendolo sempre più competitivo e riconoscibile nel mondo. La strada è quella giusta e per questo continueremo in questa direzione”.
“Pensare a un’Italia senza vino è stata un’impresa non semplice, anche perché i numeri non bastano a manifestare il danno di una ipotetica privazione di un elemento del Dna italiano. Ma abbiamo voluto fortemente accendere un faro, perché quello del vino è un patrimonio socioeconomico che va difeso e tutelato”, sostiene Federico Bricolo, presidente Veronafiere. “Senza il vino l’Italia non perderebbe ‘solo’ l’1,1% del suo Pil - dice Maurizio Danese, amministratore delegato Veronafiere - ma il “valore” del vino è superiore al suo contributo economico: il vino è infatti una componente identitaria del Belpaese e come tale è percepito all’estero. Un asset intangibile ma altrettanto qualificante del lifestyle italiano e dei suoi valori cui Vinitaly vuol contribuire a esserne cassa di risonanza”.
“Da sempre Montalcino vive un rapporto simbiotico con il vino: una comunità agricola tra le più virtuose a livello nazionale insediata in un ecosistema in cui il Brunello fa da traino - sottolinea il presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci - di fatto, l’enoturismo si è affermato proprio qui dove l’esperienza autentica del territorio non può che passare attraverso un calice: non è un caso che già nel 1948 fu proprio una cantina di Montalcino ad aprire, per la prima volta in Italia, le porte ai visitatori, spianando la strada a quello che poi sarebbe diventato il fenomeno attuale. È da questo legame che nasce il brand oggi conosciuto in tutto il mondo”.
In caso di scomparsa della filiera del vino, 303.000 persone dovrebbero trovarsi un altro lavoro e il Paese rinuncerebbe a un asset in grado di generare (tra impatto diretto, indiretto e indotto) una produzione annua di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro. Uno shock per l’Azienda Italia pari all’1,1% del Pil (lo sport, secondo stime dell’Istituto Credito sportivo vale l’1,3%). In questo scenario da day after, faremmo a meno di un moltiplicatore economico in grado di generare un contributo di 2,4 euro di produzione (e 0,9 di valore aggiunto) per ogni euro di spesa attivata dall’industria del vino. Infine, ogni 62 mila euro di valore prodotto dalla filiera garantisce un posto di lavoro.
Senza il vino, si evince dall’analisi di Prometeia, il saldo commerciale del settore agroalimentare scenderebbe del 58% (da +12,3 a +5,1 miliardi di euro nel 2023), ma anche allargando il perimetro oltre il settore alimentare, è evidente che si rinuncerebbe ad un fattore di successo determinante per il made in Italy. Il vino lo scorso anno si è infatti posizionato al secondo posto nel surplus commerciale generato dai portabandiera tricolore, dietro a gioielleria/oreficeria – che a differenza del vino ha beneficiato di un rilevante “effetto prezzo” – e davanti a pelletteria, abbigliamento, macchine per packaging e calzature. All’impatto economico complessivo della filiera del vino contribuisce in modo sostanziale il turismo enologico che, se alimenta “al margine” l’economia turistica delle grandi città, può diventare fondamentale (anche al di là degli effetti strettamente economici) per molti piccoli centri e comunità rurali a vocazione vitivinicola. Nelle rilevazioni dell’Associazione Città del Vino, il turismo enologico coinvolge annualmente circa 15 milioni di persone (fra viaggiatori ed escursionisti) con budget giornalieri (124 euro) superiori del 13% a quelli del turista medio, per una spesa complessiva di 2,6 miliardi di euro. A partire da questi dati, l’analisi d’impatto evidenzia come senza questa componente verrebbe a mancare il 15% del valore aggiunto complessivo generato dalla filiera del vino.
Sin qui gli impatti economici tangibili. In una sezione finale, Prometeia ha poi analizzato, in termini qualitativi, l’interesse globale per il vino italiano con un’analisi di web sentiment che ha messo in evidenza, nei volumi di ricerca dell’ultimo anno estratti da Google trends, come il vino – dopo pizza e pasta – si collochi al terzo posto nel mondo tra i prodotti alimentari maggiormente associati al Made in Italy.
Focus: Barolo, Etna, Montalcino: il contributo sui territori vale fino a dieci volte il valore della bottiglia
Le pendici di un vulcano, un borgo medievale e le più note colline piemontesi. È il vino il trait d’union tra i comprensori dell’Etna, delle Langhe e di Montalcino, territori baciati da uno sviluppo socioeconomico a minimo comune denominatore enologico in cui ogni bottiglia di vino prodotta e consumata in loco è capace di generare un impatto (diretto, indiretto e indotto) quantificabile in 117 euro a bottiglia per Montalcino, 109 euro per Barolo e 82 euro per l’Etna. Una reinfusione di ricchezza sui territori che, in un anno, corrisponde a rispettivamente circa 153, 131 e 123 milioni di euro, e che li rende casi di studio emblematici di un effetto moltiplicatore attribuibile al comparto riscontrabile lungo tutta la Penisola. Secondo lo studio realizzato dall’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly nell’ambito del progetto “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”, presentata alla rassegna di Veronafiere alla vigilia della Giornata nazionale del Made in Italy, Montalcino, Barolo ed Etna si distinguono non solo per prezzi medi per ettaro e rese produttive ben superiori ai valori regionali: nell’ultimo decennio sono riusciti a garantire una maggiore crescita del reddito pro-capite, generando lavoro e occupazione.
Ed è così che, nel borgo toscano dove un ettaro vitato a Brunello vale quasi 8 volte un pari appezzamento in altre zone della Toscana (1 milione di euro contro 129.000), il reddito pro-capite è ben maggiore rispetto alla media regionale ed è cresciuto negli ultimi 10 anni del 37,9%, a fronte di una media nazionale del +11,1%. Una forbice che si riscontra anche nel comprensorio del Barolo (con il valore fondiario più alto), dove il reddito pro-capite medio, sugli stessi valori di Montalcino, è cresciuto del 23,7%. Meno evidente, ma pur sempre riscontrabile, l’effetto booster anche sull’Etna, che si è attestato a +12,6% nel decennio, contro una media siciliana del +9.9%. Proprio qui, alle pendici del vulcano, valori fondiari 5 volte superiori alla media regionale hanno incoraggiato il ritorno delle giovani generazioni sui campi dei nonni, nonostante le difficoltà di una viticoltura di montagna, con 2.000 ore di lavoro annue per gli ettari terrazzati coltivati ad alberello, per un totale di 250mila giornate lavorative annue. Una trazione che negli ultimi 10 anni ha fatto registrare un +70% alle superfici vitate (1.550 ettari, con appezzamenti medi inferiori all’ettaro per la metà dei produttori) e quadruplicato il volume imbottigliato (quasi 6 milioni di bottiglie nel 2023).
Questi territori, con i relativi Consorzi di tutela, hanno saputo individuare nel virtuoso rapporto con il vino – fido custode anche del paesaggio contro speculazioni edilizie e commerciali – la loro vocazione identitaria, che nell’enoturismo trova la massima (e remunerativa) espressione. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, Montalcino – poco più di 5.000 abitanti, con il 16% della forza lavoro impiegata nell’accoglienza – conta circa 80.000 turisti ufficiali, un flusso enorme a cui risponde con oltre 300 strutture ricettive e 3.000 posti letto. Il piccolo comune di Barolo – circa 700 abitanti – riceve il 20% dei 90.000 turisti che arrivano nel territorio delimitato dal disciplinare della Docg (11 comuni), e ha registrato una crescita del 60% rispetto ai valori pre-Covid. Sull’Etna, già soggetto al magnetico fascino del vulcano, il vino ha aggiunto quel tocco di magistrale artigianalità, contribuendo a profilare un turismo più qualificato e raffinato, soprattutto dall’estero, tanto che oggi circa il 60% delle 150 aziende di filiera organizza tour e degustazioni guidate.