Rilanciare i vini dolci toscani, a cominciare dal famoso Vin Santo ma anche il Moscadello, il vino storico di Montalcino. È l’obiettivo dell’iniziativa della produttrice di Brunello Donatella Cinelli Colombini, che ha organizzato una degustazione di 12 vini dolci delle Donne del Vino toscane, di cui Cinelli Colombini è coordinatrice, per discutere, con l’aiuto del giornalista enogastronomico Gianni Fabrizio, le scelte stilistiche e di marketing per un possibile rilancio futuro. Il tasting, riservato alla stampa accreditata, si terrà il 28 ottobre alla Fattoria del Colle, a Trequanda, e vedrà protagonisti sette Vin Santo di età e provenienza diverse, due passiti, un Occhio di Pernice, un Aleatico e un Moscadello, il Florus 2019 di Banfi.
Il Moscadello di Montalcino era già apprezzato nel Rinascimento quando Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III, ne scriveva come di un vino dall’aspetto dorato e dal gusto amabile. “Del leggiadretto/del sì divino/Moscadelletto/di Montalcino”, così nella poesia “Bacco in Toscana”, Francesco Redi, uno dei più grandi biologi di tutti i tempi e uomo dalle raffinate qualità, omaggiava nel 1865 questo straordinario nettare che, facendo da apripista al Brunello, conquistò il palato di nobili e borghesi allietando, al tempo stesso, le serate dei contadini al calare della sera dopo una lunga giornata di lavoro. Un vino “democratico” ed “universale”, ambasciatore di una Montalcino che per secoli è stata conosciuta come la patria del Moscadello. E che conquistò anche Ugo Foscolo, intellettuale e poeta di fama mondiale, che si confortava dalle sue (geniali) fatiche letterarie con un buon bicchiere di Moscadello di Montalcino, vino che offriva con orgoglio ai suoi amici.
Le origini del Moscadello sono antichissime: nel 1540, in una lettera inviata da Venezia ad un amico, lo scrittore Pietro Aretino lo ringrazia elogiandolo per il dono di un “caratello di prezioso, delicato Moscadello, tondotto, leggiero, e di quel frizzante iscarico che par che biascia, morde e trae di calcio, parole che parrebbon la sete in su’ le labbra …”. Pare che il pontefice Urbano VIII, nei primi decenni del Seicento, lo apprezzasse “per la sua gagliardia e sapore” e con grande discrezione “solea spesso richiederlo per sé e per la sua Corte”. I viandanti hanno versato fiumi di inchiostro nelle loro pagine per lodare un vino così piacevole ma dalla spiccata personalità.
Dopo l’ascesa e il successo planetario del Brunello di Montalcino, il Moscadello, pur con una produzione andata diminuendo nel tempo, rimane un fiore all’occhiello di Montalcino e alcune aziende lo hanno rilanciato negli ultimi anni, valorizzando un gioiello che testimonia una tradizione enoica improntata sulla qualità da parte dei produttori del territorio.
Il Moscadello, come gli altri vini dolci toscani - dall’Aleatico, vitigno a bacca nera fu forse portato sulla costa dai Greci in epoca preistorica, al Vin Santo, nome dato dal Cardinal Bessarione di Nicea, che durante il Concilio di Firenze del 1431 lo paragonò al vino dell’isola di Xantos - rappresenta un patrimonio di storia e di cultura materiale che le Donne del Vino, associazione no profit nata a Firenze nel 1988 per promuovere la cultura del vino e il ruolo delle donne nella filiera produttiva del vino, intendono difendere e rilanciare.