Il saluto di monsignor Luca Bonari a Montalcino

monsignor Luca Bonari (foto di Francesco Belviso)Dopo quasi tre anni monsignor Luca Bonari saluta Montalcino. Non sarà più il nostro parroco e ci mancheranno la sua gentilezza, le sue buone maniere, il suo essere presente per la comunità. Domani sera il vescovo sarà in Sant’Egidio per una celebrazione alle ore 18 seguita da un’assemblea di tutto il vicariato. Per l’occasione si insedierà il nuovo parroco, il cui nome non è una novità per il territorio. Si tratta infatti di don Giovanni Ferrari, di casa fino a questo momento a Torrenieri con don Angelo Colace nel ruolo di vice-parroco. Già da domani sera entreranno in funzione. In questa intervista alla Montalcinonews don Luca Bonari ripercorre i suoi anni a Montalcino, città a cui è molto legato. Un grande grazie a monsignor Luca e un doveroso benvenuto a don Giovanni.

Sono quasi tre anni che Lei è il parroco di Montalcino. Un arco temporale importante e anche delicato, basti pensare al periodo dell’emergenza Covid. Ci può fare un resoconto su questi anni che Lei ha svolto con grande attaccamento e vicinanza ai fedeli di Montalcino e se proseguirà ancora qui con noi?

In verità, per la prima volta nella mia lunga esperienza sacerdotale (l’anno prossimo facciamo 50 anni di sacerdozio) il vescovo, quando mi ha nominato parroco di Montalcino, mi ha chiesto sì di lasciare una parrocchia (Asciano) ma non per diventare semplicemente parroco di un’altra, bensì per diventare suo Vicario per 25 parrocchie, distribuite in 8 comuni (5 nel grossetano e 3 nel senese) con circa 26.000 abitanti. La prospettiva è stata subito quella di sentirmi parte di un grande territorio (quella che era una volta la diocesi di Montalcino con l’aggiunta del Comune di Civitella-Paganico) e dedicare alla parrocchia tutto quello che avrei potuto compatibilmente con le esigenze del Vicariato di Montalcino-Amiata-Maremma. Ho percepito di conseguenza una certa “relatività del mio ruolo”, favorita dal fatto che, da anni, Montalcino gode dei servizi preziosi del Diacono Giovanni, ed ho cercato di dare il meglio di me negli aspetti in cui sapevo di essere insostituibile: la celebrazione della S. Messa e degli altri Sacramenti, specialmente la Confessione. Naturalmente ho cercato di essere presente in tutti gli aspetti della pastorale dando il meglio di me, con amore sicuramente e con la competenza che mi era richiesta. Ho percepito da subito anche un’altra cosa molto importante: la provvisorietà. Il vicario del vescovo, in un territorio come il nostro, può benissimo in qualsiasi momento diventare per il vescovo la soluzione di situazioni complicate in altre zone del Vicariato. Così non lascio Montalcino se non per la ragione che ci sono nel nostro Vicariato periferie che reclamano più attenzione e che spesso sono state inevitabilmente, per mancanza di sacerdoti, trascurate. Vado a servire la nostra gente nel Cinigianese (sono da tempo già il loro parroco sulla carta ed ora lo divengo di fatto) con tanta nostalgia per Montalcino ma con la certezza che è là che il Signore Gesù mi attende per essere pastore di una comunità che ha tanto bisogno di questo gesto di tenerezza. Continuerò ad essere vicario episcopale anche di Montalcino oltre che dell’Amiata e della Maremma. Basterà un fischio e correrò!

Come ha trovato la comunità di Montalcino? Il tessuto sociale è forte? E c’è stata partecipazione alle attività della parrocchia?

Montalcino è bella da ogni punto di vista. Ora che ha risolto molti problemi che la vita e la storia inevitabilmente pongono alle persone, alle famiglie ed alla convivenza, sarebbe ancora più bella se facesse un passo in avanti: prendersi meglio cura di sé. Ci si prende cura di sé come persone, come famiglie, come comunità se al centro mettiamo la persona. Nel nostro caso il Battesimo. La relazione che Gesù stabilisce con i nostri bambini il giorno del loro battesimo è una proposta. Dire di sì significa immaginare la vita a partire da questa relazione. Siamo persone migliori, siamo persone solidali, siamo comunità unite e vive in proporzione a quanto ciascuno dice di sì al suo battesimo. Ma anche se scegliesse di dire di no dovrà farlo assumendosi la responsabilità di pensare che un giorno Montalcino lo lascerà: migliore o peggiore di come l’ha trovato? La vita della comunità cristiana è stata intensa e bella. Ma si cammina guardando avanti ed anche se ogni tanto ci si gira a guardare indietro lo si fa per essere sicuri che il cammino ci sta portando avanti.

I giovani e la fede. Qual è il legame in un’epoca in cui, soprattutto per loro, aumentano impegni e distrazioni?

Ho sempre pensato che i giovani non sono una categoria. Sono persone profondamente diverse l’una all’altra in base a come hanno vissuto quella parte della vita che li ha fatti diventare giovani. Le famiglie di Montalcino fanno crescere bene i loro figli. Si può migliorare la qualità dei valori su cui si cresce noi adulti e vorremmo che crescessero i nostri figli. Ho visto la differenza. Una famiglia dove si dialoga, si ascolta, si riflette, una famiglia dove i grandi sentono la responsabilità della città, delle sue dinamiche. Una famiglia solidale con i più bisognosi. Una famiglia che ama e si prende cura dei suoi vecchi. Una famiglia aperta a rapporti sereni e costruttivi con le altre famiglie nei quartieri, nelle associazioni di volontariato crea il terreno fertile perché le nuove generazioni si mettano in cordata e desiderino fare la loro parte. Dall’estraneità nasce l’estraneità, dalla superficialità nasce una distrazione che si alimenta di evasione e produce insoddisfazione. Si può fare tutti di più e di meglio. Anche la comunità cristiana può e deve fare molto.

(foto: Francesco Belviso)

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