Si è appena conclusa la presentazione dell’Opera che andrà ad arricchire da domani sera la bacheca del Quartiere vincitore del Torneo di tiro con l’arco, appuntamento clou dell’Apertura delle cacce n.58. Una cerimonia “snella” ma particolarmente sentita come sempre, tenutasi questa volta a porte chiuse (per rispettare il protocollo sicurezza) nel palazzo comunale storico di Montalcino alla presenza di poche persone autorizzate. Il Consigliere con delega alle feste identitarie Alessandro Nafi ha ringraziato i quattro Quartieri (presenti i presidenti di Pianello, Ruga e Travaglio e il Governatore del Borghetto), per il grande senso di responsabilità dimostrato in questi giorni citando l’esempio dell’attenzione nel mantenimento delle distanze di sicurezza nell’allestimento del campo di gara.
Il sindaco Silvio Franceschelli ha preso parola parlando di una “annata particolare, la prima che viene organizzata direttamente dal Comune. Ringrazio i Quartieri e tutta l’organizzazione a 360°. Avevamo bisogno di dare un segnale, siamo sempre in un contesto difficile ma occorre trovare una normalità nella difficoltà. Ritengo che stare fermi sia un danno per il futuro. Si tratta di un test importante perché sulla festa di Montalcino c’è l’attenzione generale di molti Comuni che si apprestano a discutere riguardo alle proprie feste identitarie. Il nostro modello può essere premiante o non premiante per questo c’è una doppia responsabilità”. Franceschelli ha ringraziato l’artista dell’Opera, Letizia Machetti: “è un onore avere una montalcinese che ha disegnato questa opera d’arte”. Maddalena Sanfilippo ha spiegato nei dettagli e con la consueta passione e professionalità l’Opera (il suo intervento completo nel focus in calce all’articolo) che presenta molti spunti cari a Montalcino ed ai suoi abitanti. “Un’emozione grandissima - ha detto Letizia Machetti - qui c’è tutta la mia storia oltre che una serie di simboli che tutti i montalcinesi possono riconoscere. Spero che vinca il migliore, vi ringrazio a tutti”.
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Focus - La presentazione dell’Opera di Letizia Machetti a cura di Maddalena Sanfilippo
Quando qualche settimana fa Letizia Machetti mi ha mostrato il dipinto che aveva realizzato in occasione della cinquantottesima Apertura delle Cacce era il giorno dopo una giornata molto intensa, quando, ad un pranzo tra amici, hai bisogno di rilassarti e raccogliere l’affetto delle persone che ti fanno sentire amato per davvero, in famiglia, come la famiglia di Letizia e Stefano è per me. Appena ci siamo incontrate, Letizia mi ha mostrato la foto del quadro appena finito e ho pensato che, visto che non lo aveva fatto con me, avesse parlato con qualcuno che le avesse rivelato un’anticipazione, un progetto di allestimento futuro, ancora oggi non pubblico e da approvare, sul quale i rappresentanti dei quattro quartieri hanno lavorato in questi ultimi due anni per il nuovo svolgersi del corteo storico, che prevede un momento, ambientato in fortezza, molto simile a quello raffigurato nell’opera.
Non era così, Letizia non sapeva niente, si trattava di una coincidenza che forse aveva a che fare con l’inconscio in linea con la dimensione onirica delle sue creazioni: il potere dell’arte dunque, che per molti in questo lungo periodo è stata una via di salvezza, ci fa riflettere come il paradosso della pandemia forse abbia spinto gli esseri umani verso l’interpretazione oggettiva dell’essenza delle cose, di ciò che ha un vero valore nella vita di ciascuno di noi: per tutti i montalcinesi il senso di appartenenza, d’identità prende spesso il sopravvento su altri sentimenti e quando è confinato in una dimensione riflessiva, non si disperde ma è focalizzato in un progetto, si traduce in energia creativa di positività che non esprime il singolo ma un sentimento comune, quello di tutti noi.
Questo, al di là di ogni descrizione simbolica e stilistica che si possa azzardare del dipinto, credo che sia il significato profondo dell’opera di Letizia creata, come ci tiene da subito a precisare l’artista, da montalcinese, affinché ogni montalcinese vi si rispecchi.
Partendo dal famoso episodio di Don Garcia di Toledo che, secondo una delle versioni del racconto, tolse l’assedio da Montalcino dopo la visione della Madonna accompagnata da due paggi sulle mura cittadine, Letima, come si firma Letizia, sovrappone la visione della Vergine Maria alla figura della castellana all’interno della fortezza. Un paggio del Comune, abbigliato dei colori di Montalcino, si inginocchia di fronte a lei in una posa devota e aggraziata, che rimanda all’immagine di Don Garcia a cavallo nella vetrata del santuario della Madonna del Soccorso e nell’acconciatura agli eleganti personaggi affrescati nel pellegrinaio del Santa Maria della Scala a Siena. “A te affidò”, il titolo del dipinto, si presta involontariamente a una doppia interpretazione: Nostra Donna sembra consegnare le frecce da lei benedette al paggio che a sua volta forse le ha appena porte nelle mani della Vergine. Il gesto del paggio arciere è quello sacrale dell’affidarsi a qualcuno di più grande che protegga con la forza della dolcezza materna. Il verde, il pantone di Montalcino, è richiamato nel leccio, all’ingresso della Fortezza, negli alberi accanto alla cattedrale, nella vegetazione che si affaccia lungo il viale della Madonna e nella firma dell’artista montalcinese Letima. Il profilo di Montalcino, netto, riconoscibile, definito, identificabile da lontano così come il nostro carattere comune, è dipinto come se fosse ripreso da uno dei torrioni della fortezza, cioè da un livello più alto rispetto a quello del piazzale: i tre campanili del Palazzo Comunale, di Sant’Agostino, della Cattedrale sullo sfondo danno movimento ai tetti che svettano nel cielo dietro la torre merlata della fortezza, secondo una concezione pittorica che si ispira per forza alla pittura senese del Trecento secondo la quale prima della prospettiva quello che dovrebbe essere raffigurato dietro è in realtà raffigurato sopra.
La luce dorata che avvolge tutto il dipinto è quella del tramonto che da ovest in direzione del mare, quando arriva l’ora, si riflette sui caseggiati del centro storico di Montalcino che sfilano fieri, semplici e diretti verso la fortezza.
Le bandiere sugli spalti sono le prime, quelle degli anni Sessanta, come quelle raffigurate nella vetrata della Madonna… quelle bandiere ti riportano indietro alle prime Sagre, alle foto in bianco e nero delle comparse sugli spalti, ti fanno riflettere come questi simboli liberamente tratti dall’araldica presente sui Palazzi montalcinesi siano diventati in pochi decenni segni di realtà sociali così intense, vere che potremmo definire le nostre “famiglie allargate” e allora pensi a quelli che l’hanno inventata questa festa, che ormai non ci sono più, di quanto ci avevano visto giusto nel concepire una manifestazione che facendo l’occhiolino alla storia, anche un po’ per divertimento senza prendersi troppo sul serio, raccontava la vera Montalcino con intelligenza e passione, senza dubbio i suoi caratteri vincenti.