Mentre in tutta Europa il 6 giugno si ricorderà il D-Day, lo sbarco in Normandia degli Stati Uniti che dette una svolta alla Seconda Guerra Mondiale e avviò le liberazioni delle terre da Occidente verso Berlino, a Torrenieri il 6 giugno 1944 rievoca un evento terribile che mai si era verificato prima nel nostro territorio. Un bombardamento degli aerei americani centrò delle case all’inizio della via che porta a San Giovanni d’Asso, provocando 10 vittime e diversi feriti (seguiranno altri 8 civili deceduti, più 15 militari morti in combattimento e 13 dispersi). Una pagina nerissima della storia di Torrenieri, raccontata in passato anche sul nostro sito, assolutamente da non dimenticare. “Da anni mi sforzo di ricordarlo alla popolazione di Torrenieri, proponendo anche di ricordare in maniera stabile e più consona questo triste evento con una lapide da apporre su una delle abitazioni oggetto di distruzione e subito ricostruite o con un cippo a lato della strada provinciale, di fronte alle stesse”, ci scrisse tempo fa Alberto Cappelli, una delle “memorie storiche” del paese. Cappelli ha inviato adesso alla nostra redazione un toccante intervento in ricordo del bombardamento, che visse in prima persona. Lo pubblichiamo integralmente:
“Per non dimenticare” – di Alberto Cappelli
La mattina del 6 giugno 1944 – ricordato dalla storia come il giorno dello sbarco alleato in Normandia – il Medico condotto di Torrenieri, Dr. Lunghetti, chiamato per una visita in campagna, prima di partire raccomandò all’Ostetrica condotta, Signora Rita Collini, che abitava sopra l’ambulatorio medico, di aprirlo per ogni evenienza e di provvedere alle eventuali emergenze.
Da Mezzoborgo scendeva in paese Enzo Andreini, per prendere in carico i giornali dall’edicolante Silvia Bagnoli ed iniziare il giro di consegne. Presso la Chiesa vide sbucare due amici, che, al piccolo trotto, girarono sulla strada di San Giovanni; chiese loro dove si recassero e questi gli risposero che andavano dalla Beppa, perché le erano arrivate le ciliege; istintivamente annunciò che si sarebbe unito a loro, ma l’edicolante lo richiamò immediatamente all’ordine, ricordandogli che era già in ritardo per le consegne dei giornali.
Irma, la figlia di Pilorre il calzolaio che aveva bottega sulla strada per San Giovanni d’Asso, era stata inviata dalla mamma allo spaccio della Cooperativa APE in via Romana, perché veniva distribuito lo zucchero.
Silvano, il figlio di Abramo e della Beppa, quando sentì in lontananza il rombo degli aerei, si affacciò alla finestra di cucina: li vide sopra Celamonti, erano quattro o cinque e da lì si gettarono in picchiata su Torrenieri, in direzione della sua casa; da due aerei vide sganciare quattro bombe: istintivamente si staccò dal davanzale e corse sotto il tavolo.
Lo schianto fu tremendo. Diverse abitazioni, comprese fra gli attuali numeri civici 2 e 18 della via San Giovanni (allora si chiamava via Traversa dei Monti), crollarono, e fra queste anche quella di Silvano, ma lui si salvò, come pure la mamma, il nipote Sergio Lorenzi (meglio noto come Ginnale) e uno dei due ragazzi che si erano recati a comperare le ciliege (Antonio Mangiavacchi, di anni 11), anche perché la bomba cadde nel terreno retrostante la casa.
Sotto le macerie di quella abitazione morirono l’altro ragazzo (Manlio Bolgi, di anni 12), il marito dell’ostetrica (Pierino Bonucci, di anni 39) ed un’altra signora che vi si era recata per acquisti (Tornesi Machetti Pierina, di anni 40).
Nell’abitazione attigua vi furono due morti: Fedeli Bandini Maria, di anni 38 ed il figlio Alvaro di anni 10 (il babbo era al lavoro lungo la ferrovia).
Nell’altra confinante con quella dei Bandini vi fu una vera strage in quanto l’altra bomba colpì in pieno l’abitazione ed i morti furono cinque: Turchi Nello, calzolaio di anni 47, la sua mamma Papi Turchi Cesira, di anni 76, la sua moglie Papi Maria, di anni 42, il figlio Mario, calzolaio di anni 21 ed il nipote Turillazzi Vasco, anche lui calzolaio di anni 17 (ci dovevo essere anch’io perché dovevo ripararmi i lacci degli zoccoli rotti la sera prima per giocare a calcio, ma fortuna volle che quel giorno mi alzassi più tardi, malgrado i continui solleciti ad alzarmi di mia zia).
Dall’abitazione di Giuseppe Burroni – anche questa colpita - fu estratta viva, ma ferita, la figlia Orietta di anni 17, l’unica presente in casa in quanto il babbo era in Germania, deportato dai tedeschi, la mamma era in campagna e il fratello Amiraldo era nella bottega di Ghino Minacci in qualità di apprendista barbiere; anche l’abitazione sottostante abitata da tre persone, in quel momento era vuota.
Altre due bombe colpirono il terreno in via Romana, fra il palazzo del Dr. G.Augusto Nozzoli e la Posta Vecchia, dove oggi ci sono il Ristorante La Compagnia e l’abitazione dei Torriti.
Come già detto, lo schianto delle bombe cadute sulle case (a pochi metri dalla mia) fu tremendo ed in sequenza seguì il rumore delle mura delle case che crollavano e l’odore di calcinacci che prepotentemente saliva sul naso. Tutto questo mi ha accompagnato come un incubo per un lungo tempo e, stranamente, circa otto-dieci anni fa, per un certo periodo si è rifatto vivo, facendomi rivivere le stesse sensazioni.
Un attimo dopo, a piedi nudi perché li stavo lavando, corsi verso le scale, dove trovai la zia che vi aveva trovato un rifugio e che mi chiamava; ma io scappai attraverso una porta divelta dallo spostamento d’aria, nel campo della Parrocchia confinante e senza nulla vedere per la gran polvere, correndo a piedi nudi - già pieni di schegge di vetro, sulle stoppie del grano appena mietuto, mi diressi al Castellare una casa colonica sopra il paese.
Qui fui accolto, tranquillizzato, ripulito dal sangue che colava dai piedi e disinfettato. Più tardi venne anche la zia che riferì su cosa era successo.
La sera, ritrovato il babbo, andammo al podere La Torre in casa dei Giuliani (erano cugini di mia mamma e di mia zia), sfollati.
Gli incursori, convinti di aver colpito l’obiettivo (le scuole elementari, dove era presente una piccola guarnigione tedesca delle SS, allergica al rispetto del coprifuoco, imposto ai civili), sganciarono sulla ferrovia presso il podere Grosseto altre due bombe e altre due le sganciarono in aperta campagna nei terreni posti dietro il podere Castellare.
Da quel momento vi fu l’abbandono quasi in massa della popolazione di Torrenieri. Si racconta che furono in pochi a scavare fra le macerie per estrarre sia i vivi che i feriti ed i morti rimasti sotto, aiutati in questo da due militari tedeschi (forse gli austriaci?).
Terminata la guerra Torrenieri conterà 15 militari morti in combattimento e 13 dispersi, oltre a ben 19 civili deceduti: dieci nel bombardamento aereo, otto alla ripresa dei lavori di campagna dopo il passaggio del fronte per lo scoppio di mine posizionate dai tedeschi ed il capoccia della famiglia Ghezzi del Podernovo, fucilato dai tedeschi in ritirata.
La guerra iniziata nel giugno del ’40 con grandi aspettative di vittoria e la promessa che sarebbe stata lampo, terminerà per l’Italia solo il 25 aprile 1945: cinque anni di lutti e sacrifici per un popolo che, comunque seppe risollevarsi e cambiare decisamente strada, imboccando quella della democrazia.
Alberto Cappelli