Tra le vittime economiche del Covid-19 rientra a pieno diritto il comparto del turismo. A dirlo sono i numeri ricordati da Donatella Cinelli Colombini, ideatrice della giornata Cantine Aperte (nata a Montalcino come progetto pilota in Toscana e poi sviluppata in tutta Italia) e prima promotrice del turismo del vino in Italia. Il comparto turistico somma un miliardo e quattrocento milioni di viaggiatori l’anno con un business mondiale intorno a 1.300 miliardi che adesso è bloccato dalla paura. La reclusione in casa ha aumentato la percezione di pericolo rispetto a tutto quello che sta fuori delle mura domestiche per cui le vacanze, più che momenti di evasione, possono apparire come momenti frenati dall’ansia. In questo disastroso 2020, è il pensiero di Donatella Cinelli Colombini, ogni Paese cercherà di tenere i cittadini nei propri confini nazionali e probabilmente anche gli italiani faranno viaggi di prossimità. Per questo regioni come la Toscana, dove gli arrivi dall’estero hanno percentuali molto alte, Usa in testa (9% degli arrivi totali), non dormono sonni tranquilli. Il turismo estero vale oltre 40 miliardi per l’Italia. E per Montalcino gli scenari quali sono? “La Valdorcia - dice alla Montalcinonews Donatella Cinelli Colombini - guardando i dati Irpet 2018 somma 253.000 turisti italiani e 345.000 stranieri, ovvero il 58%. Europa e Inghilterra (29,9%) e Nord America (14,9%) coprono quasi tutta questa fetta ma aggiungo che la preoccupazione riguarda anche l’occupazione. L’ultimo dato rilevato del Pil, riferito al 2015, assegnavano al turismo, per posti come Montalcino e Montepulciano, il 25%. Per la Valdorcia, nel 2016, gli occupati nel turismo raggiungevano il 33%. Si prevede un impatto veramente pesante. Quanto inciderà la mancanza di vendita diretta del vino in azienda? Per Montalcino stimo il 15% ma a questa percentuale va aggiunta anche quella indiretta derivata da enoteche e ristoranti. Quando avremo la riapertura ci saranno dei limiti e molti potrebbero decidere di non riaprire”.
Nella nota stampa Cinelli Colombini aveva spiegato come è “più grave la situazione in campagna dove il turismo si è sviluppato negli ultimi anni sotto forma di agriturismo e turismo enogastronomico. In queste zone, ad esempio, i ristoranti non hanno, oppure hanno pochissima clientela locale e, rispetto ai colleghi di città non possono usare il delivery come alternativa. Non escluderei che molti decidessero di rimanere chiusi per tutto il 2020. Oltre alla diminuzione dei flussi turistici esiste infatti un altro aspetto da considerare: gli effetti dell’eventuale contagio dove, per ora, l’epidemia di coronavirus è stata quasi assente. Prendiamo in esame le attività turistiche più problematiche, quelle delle aziende agricole - ricettività, ristorazione e enoturismo - che sono accessorie e spesso in promiscuità, con i lavori propriamente agricoli. Portando i visitatori in azienda aumenta il numero delle misure protettive da prendere nell’impresa nel suo complesso, ma soprattutto aumenta la probabilità di contrarre il covid. In una simile eventualità l’obbligo di quarantena potrebbe riguardare sia chi lavora nell’hospitality che il personale di cantine, uffici, vigneti e altre attività tipicamente rurali, con il blocco totale di ogni produzione”. Dunque per le destinazioni del turismo enogastronomico il futuro prossimo appare molto preoccupante. “Per restringere alle sole cantine, l’esame dei problemi turistici creati dal coronavirus, è ipotizzabile che le 25.000 aziende enologiche italiane aperte al pubblico e fra esse le 5-8.000 ben organizzate per l’hospitality, occupino intorno a 30.000 dipendenti stagionali addetti all’enoturismo, oltre al personale a tempo indeterminato e ai membri delle famiglie produttrici. Tutte persone che potrebbero rimanere senza lavoro. Se andiamo a vedere il contraccolpo economico della mancanza di vendita diretta nelle cantine abbiamo dati altrettanto sconfortanti: 2-2,5 miliardi di euro che costituiscono una liquidità importante per le imprese italiane ma soprattutto una fonte di guadagno con marginalità nettamente più alta rispetto ai normali canali commerciali”. Senza dimenticare che il vino “smuove” anche altri settori dallo shopping fino all’intrattenimento.
“Secondo i dati della Banca d’Italia (2019) - ricorda Cinelli Colombini - i turisti esteri in Italia spendono 12 miliardi all’anno in cibo e vino consumato nei pasti oppure acquistato come shopping goloso. Un autentico motore per la ristorazione e i negozi di tutte le città turistiche. Un motore che oggi è spento e farà rallentare anche chi riforniva questi luoghi di consumo e vendita cioè le cantine e i produttori di specialità alimentari di eccellenza. Non scordiamoci che fino allo scorso anno metà dei 58 milioni di turisti stranieri in Italia aveva comprato almeno una bottiglia di vino”.