Produzione (in volume), produttore (e la sua reputazione) e provenienza: sono le “3 P” che fanno di una bottiglia un vino “da collezione”. Come spiega il magazine britannico “Decanter”, infatti, il numero di aziende di alto livello in un determinato territorio è limitato, così come le loro produzioni, che diventano rare via via che l’annata diventa più vecchia: in questo senso, il motivo del successo delle etichette di Borgogna è proprio nei numeri, piccolissimi, anche se paragonati ai produttori top di Bordeaux, che per volumi si avvicinano più alle grandi etichette del Belpaese, come Masseto, Sassicaia, Solaia, Ornellaia, ma anche il Brunello Biondi Santi o Soldera Case Basse a Montalcino, o i Barolo di Giuseppe Mascarello e Bruno Giacosa o i cru di Angelo Gaja.
La reputazione, invece, è un concetto più sfumato, perché molti produttori hanno costruito la loro in secoli, altri sono stati capaci di fare altrettanto, con delle buone strategie di comunicazione, in pochi anni. La provenienza, inoltre, è fondamentale, perché anche il miglior vino del mondo, se è stato conservato nel sottoscala di un appartamento in città perde buona parte del suo appeal e, con ogni probabilità, della sua qualità.
Ma non finisce certo qui, perché la desiderabilità di un vino passa anche per la denominazione di provenienza, basti pensare alla distanza che separa, nei prezzi e nella reputazione, Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano, separate, geograficamente, da qualche decina di chilometri. E poi l’annata, perché la corsa all’acquisto, nelle vendemmie più celebrate dalla critica internazionale, è sotto gli occhi di tutti: restando sull’esempio precedente, la 2010, proprio per il Brunello di Montalcino, ha conquistato punteggi e palati, vedendo le quotazioni schizzare alle stelle in pochi mesi. Infine, le edizioni limitate, come le etichette d’artista, che rendono un vino già raro unico, se non introvabile.