“A Poggio Civitella ci sono rimasti solo i cinghiali”. A dirlo è Luigi Donati, professore di Etruscologia, che denuncia lo stato di abbandono del parco archeologico di Montalcino attraverso le pagine del primo numero di Archeologia Viva del 2018, riportate dal Corriere Fiorentino. Il sito, a Sud-Ovest e tre chilometri dal capoluogo, è il primo esempio tangibile della valenza storica e culturale che il territorio di Montalcino vanta e, negli anni, ha visto ricercatori e archeologi di fama internazionale impegnati in studi e scavi.
“Ormai la vegetazione ha preso il sopravvento, gli unici ad entrare sono cinghiali e animali selvatici. Tutto per colpa di una recinzione che non era nemmeno necessaria”, lamenta Donati, segretario generale dell’istituto di Studi Etruschi e docente all’Università di Firenze. La storia moderna di Poggio alla Civitella risale al 1951, quando dei ragazzi di Montalcino iniziarono a fare degli scavi “amatoriali”, e continua nel 1993, con gli scavi sistematici sotto la direzione dell’Università di Firenze. Subito apparve evidente agli studiosi che il bosco celava una fortezza composta di tre circuiti difensivi, un anello in pietra sulla sommità e altri due periferici in terra e legname. Fortezza che fu costruita al termine del IV secolo a.C. dalla città di Chiusi per difendersi da Roma e che si inseriva all’interno di un ampio sistema di fortificazioni d’altura disposte strategicamente sui confini e collegate a vista (Poggio alle Mura, Sant’Angelo in Colle, Castelnuovo dell’Abate, Poggio Castellare e Poggio d’Arna).
“Tutta la struttura è stata restaurata e ora è ben comprensibile, con rampa di accesso agli spalti, porta principale, postierla con garitta di guardia, alloggiamento e cisterna”, continua Donati. I problemi, paradossalmente, arrivano con i finanziamenti di Regione (367.000 euro) e Comune (133.000 euro), nel 2009, ad un anno dall’inaugurazione. Il parco archeologico, che “non aveva bisogno di manutenzione, bastavano i visitatori a tenere puliti i percorsi”, subisce una trasformazione e, nel 2013, di fatto, viene abbandonato. “Venne costruita una reception, fu dotato di servizi igienici, fontanelli, percorsi per disabili, e fu costruita una recinzione, una catastrofe”. Prima, infatti, era di libero accesso, gratis, fruibile anche grazie a pannelli esplicativi in due lingue, meta di studenti e turisti soprattutto tedeschi e americani. “Nessuno forse vuole farsi carico delle spese, non ci sono dipendenti, informazioni per visitarlo, né orari di apertura. Eppure, sarebbe tutto a costo zero, è il cancello che ci limita. Vorremmo andare con gli studenti delle università di Firenze e Siena, in due giorni ripuliremmo tutto”.
Un abbandono non solo estetico, spiega Donati, ma anche istituzionale. “Ho incontrato due volte Eugenio Giani (presidente del Consiglio regionale della Toscana, ndr) per fargli presente la situazione, ma non è successo niente. Il sindaco di Montalcino non so nemmeno se è conoscenza del fatto che esista il parco di Poggio Civitella. D’altronde, anche i suoi predecessori non ci sono mai venuti. Solo un sindaco venne qui, una volta, quando durante gli scavi arrivò il rettore dell’Università di Firenze, poi non ci ha più messo piede, sintomo della sordità delle autorità. Il parco potrebbe essere un valore aggiunto, ma è un problema culturale: si continua a puntare solo sul Brunello, non esiste altro”.
Eppure, in quei quindici anni di scavi e restauri, seguiti da studenti di tutto il mondo e da troupe televisive internazionali, fu fondamentale proprio “il generoso apporto dei montalcinesi che ospitavano l’équipe nelle sedi storiche dei Quartieri, e degli sponsor che ci aiutarono. Un danno incalcolabile per Montalcino, che potrebbe vantare, duemila anni prima della fortezza medicea, una analoga struttura etrusca a difesa della propria libertà”, conclude Donati.
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Caro Sindaco di Montalcino, la cultura della tua città non è solo il vino ma anche la valorizzazione della propria cultura precedente che è anche quella futura.Comunque se non hai cultura le mie parole e i miei suggerimenti sono vani.
Roberto Ciabattini