Il Brunello di Montalcino è tra i vini più amati e ricordati dagli americani. È quanto emerge da una ricerca su 2.400 cittadini degli Stati federali di New York, Florida, New Jersey e California, condotta da Nomisma Wine Monitor e dall’Istituto Grandi Marchi, realtà che mette insieme 19 tra le più importanti cantine del Belpaese (tra cui Biondi Santi-Greppo e Marchesi Antinori). Un terzo degli interpellati indica “Italia” quando pensa ai produttori di vini di alta qualità. Alla domanda “qual è il vino italiano che per primo le viene in mente?”, emerge che Barolo, Amarone e Brunello di Montalcino sono i più citati, così come Piemonte e Toscana sono le Regioni che vengono più spesso ricordate, seguite da Veneto e Sicilia. Insomma, il binomio “fine wine” e “made in Italy” continua a riscuotere un grande successo nel mercato a stelle e strisce, e nonostante il recente sorpasso della Francia sull’Italia nelle esportazioni Usa, i vini del Belpaese sono in salute, e soprattutto sono ben posizionati, ai vertici tra i vini stranieri, nel fenomeno ormai consolidato che è la “premiumization”, guidata da una crescita della cultura del vino in quello che è il primo mercato del mondo, e dove di conseguenza aumenta la ricerca di prodotti di qualità.
Dall’indagine possiamo notare come secondo i consumatori di vino un “fine wine” è tale quando la reputazione del prodotto viene prima di quella aziendale (77%), la qualità prima dei volumi (68%), è associato ad una azienda che presidia di più i mercati (65%) e che ha una consolidata esperienza (64%). Tra i fattori più importanti per definire un “fine wine”, prima di tutto vengono le qualità organolettiche (25%), poi il brand (17%), il prezzo (13%) e anche il giudizio di guide social e riviste (13%).
A bere i “fine wines”, poi, sono soprattutto i “frequent user” di vino (67%), che hanno un reddito familiare alto, oltre i 100.000 dollari annui (54%), e un titolo di studio elevato (49%), ed “esperti” di vino (43%). Interessante vedere che “millennials” e “generazione X” sono consumatori di fine wine in ugual misura (43%). Al momento della scelta di acquisto, ancora, il criterio che conta di più è la marca di una cantina molto nota (26%), poi il consiglio di amici e rivenditori (12%) e la presenza di un marchio biologico (11%), che incide quanto il packaging, e più dei premi e riconoscimenti sulle guide (9%) e della pubblicità su social, tv e riviste (9%).
Interessante anche guardare i luoghi dove si bevono “fine wines”: il consumo tra le mura domestiche (43%) è parti a quello del fuori casa, dato dalla somma di ristorante (30%) e wine bar (13%). Altro aspetto interessante: se tra gli “heavy user” di vino il 35% la Francia è ritenuta il Paese straniero con i migliori “fine wines”, contro il 28% che dice Italia, la classifica si ribalta se si guarda al complesso dei consumatori, che dicono Belpaese al 34%, e Francia al 31%. E questo si riflette sul mercato, dal momento che se sono gli Usa il Paese da cui provengono i vini di alta gamma consumati più spesso nell’ultimo anno (28,4%), a ruota segue l’Italia (27,8%), con la Francia staccata di diversi punti (19,9%). Un aspetto positivo, dunque, per un’Italia che si conferma anche leader per quota di mercato in volume tra i vini stranieri, con il 34% del totale dei vini fermi, e il 32% degli spumanti (con una crescita fenomenale rispetto al 13% di 10 anni fa).
“I dati che abbiamo raccolto indicano la via maestra al vino italiano: la tendenza positiva deve ricordarci di lavorare con grande determinazione ed efficacia alla ricerca del corretto posizionamento di pregio per il nostro prodotto, lavorando sempre più per la crescita del valore perché i volumi discendano da un corretto approccio al valore e non da una logica di price competition - afferma il presidente dell’Istituto Grandi Marchi Piero Mastroberardino - il primato sui volumi non può essere un tema da celebrare a prescindere, dato che i volumi senza il valore portano allo sgretolamento della filiera per mancanza di capacità di remunerare gli investimenti effettuati”.
Ma le prospettive per un futuro luminoso ci sono tutte, se si considera che il mercato americano è ancora in crescita, e dove il vino rappresenta ancora solo il 10% dei consumi di bevande alcoliche, nonostante un balzo del +28% in anni, a quota 33 milioni di ettolitri. E che l’Italia sembra avere un enorme vantaggio competitivo (al netto della frammentazione del sistema produttivo e dei ritardi nella promozione e sull’Ocm, ndr). Il vino italiano piace soprattutto quando rispecchia l’Italian style, che è collegato, secondo gli intervistati, ai concetti di bellezza, moda e lusso. Senza contare che il consumatore americano, in generale, ama bere soprattutto vini di territori specifici (56%) e ama sperimentare novità (72%). Caratteristiche che il vino italiano, più di ogni altro nel mondo, può offrire, e sulle quali, gioco forza, deve investire.