“Ho avuto un’accesa discussione col Prefetto, poi rientrata dopo le sue rassicurazioni. Non ho firmato l’accordo e lo faremo solo quando ci sarà una previsione specifica sulla chiusura del centro a San Giovanni d’Asso e la riorganizzazione del sistema di accoglienza che garantisca integrazione e volontariato sociale da parte dei richiedenti asilo”. Il sindaco di Montalcino, Silvio Franceschelli, torna a parlare sulla questione migranti, a due anni dall’apertura dell’Abbeveratoio, la struttura ricettiva di San Giovanni d’Asso gestita dalla Fin.Bo srl (società privata modenese e quindi del tutto avulsa dal territorio) che finì sotto osservazione proprio un anno fa, nell’ottobre 2016, quando 7 dei 28 migranti trasformarono una protesta pacifica, sorta per il mancato pagamento del pocket money (i 2,50 euro giornalieri che spettano agli immigrati), in rabbia e follia distruttiva, con la seguente revoca dell’accoglienza di Stato da parte della Prefettura. Quell’episodio fu un gesto isolato, ma fece scalpore in una piccola realtà, a misura d’uomo, poi confluita nel Comune di Montalcino. E veniamo quindi allo scontro tra sindaco e Prefetto. “Chiediamo un diverso sistema di accoglienza - spiega Franceschelli alla Montalcinonews - e la sostituzione dell’Abbeveratoio con piccoli centri da 4-6 immigrati nelle località del territorio, per replicare il ‘modello Montalcino’ (dove sei migranti, ospitati dalla Misericordia, sono integrati con la comunità locale attraverso volontariato e lavori socialmente utili). A San Giovanni invece sono abbandonati a se stessi, in campagna, senza far nulla”. Il nodo della discussione è anche numerico. Secondo l’accordo tra Ministero dell’Interno, Prefettura e Anci, ogni Comune è obbligato ad ospitare 3 immigrati ogni mille abitanti. A Montalcino, quindi, spetterebbero 20, mentre all’Abbeveratoio sono in 30. “Noi siamo sempre disponibili - continua Franceschelli - ma non accettiamo un centro di accoglienza di massa. Il Prefetto ci è venuto incontro, adesso contiamo di firmare un protocollo entro la fine dell’anno e per il 2018 programmare una nuova organizzazione. Ci faremo carico dei bandi per individuare le zone più idonee, in proporzione agli abitanti. Comunque in nessun posto il numero sarà superiore a sei”.
Sul tema interviene anche Angelo Cosseddu, vicepresidente del Consiglio Comunale di Montalcino e rappresentante di San Giovanni d’Asso. “La nostra proposta - commenta Cosseddu - è proprio quella di suddividere i migranti in tutto il territorio comunale, per tenerli ‘sotto controllo’ ma soprattutto farli entrare a contatto con la popolazione. Dalla Prefettura sono arrivate richieste di aumento di richiedenti asilo, ma abbiamo già un numero a sufficienza, anzi siamo quelli che ne abbiamo di più nella Provincia di Siena”. Cosseddu sottolinea poi come gli inquilini dell’Abbeveratoio siano “ghettizzati. L’ex Comune di San Giovanni non poteva fare nulla, perchè gli unici titolati ad organizzare iniziative, corsi di lingua o forme di volontariato sono coloro che gli ospitano. Liditalia sta pensando ad un piccolo progetto sportivo, allestendo una squadra di calcio. Sono anche bravi ragazzi, l’anno scorso 3-4 di loro ci hanno dato una mano alla Mostra Mercato del Tartufo Bianco e probabilmente lo faranno anche quest’anno”.
Il problema, quindi, è a monte. San Giovanni d’Asso, prima della fusione, era il Comune più piccolo del senese per popolazione. Neanche 900 abitanti, di cui 300 nel centro storico. Per questo suscitò perplessità la decisione della Fin.Bo srl a partecipare al bando Sprar (Sistema di protezione e accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo) offrire 35 posti letto, poi scesi a 30 nel 2017. Ma qual è il motivo che spinge una società completamente avulsa dal territorio ad offrire un’accoglienza ai profughi? A rispondere fu Sergio Borelli, proprietario della struttura ricettiva ed imprenditore di Modena, in un’intervista a La Nazione, nel 2014, dichiarò: “San Giovanni d’Asso è un bellissimo borgo, ma a parte due mesi l’anno (tartufo e bella stagione) il turismo qui è fermo. Da imprenditore non potevo non considerare che i costi non sono coperti dal flusso dei clienti. Questa struttura è sotto-utilizzata. Del resto o faccio in modo di attrarre ospiti, mi promuovo o chiudo. Non sono qui a fare beneficenza”. Un motivo economico, dunque, e basta citare alcuni dati. Fin.Bon ha offerto i 30 posti ad un prezzo di 35 euro (ai quali va tolto il pocket money e le spese di vitto, alloggio, pulizia…). Al giorno vuol dire 900 euro, al mese 27.000 euro, all’anno 324.000 euro.
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