La seconda sessione del Laboratorio Internazionale di Storia Agraria di Montalcino si è aperta questo pomeriggio, sempre al Palazzo Comunale, con un interessantissimo intervento di Massimo Montanari, tra i massimi studiosi al mondo di Storia dell’Alimentazione. Montanari è partito da una citazione di Leopardi riportata nel libro “Storia del Paesaggio Agrario Italiano” di Emilio Sereni e tratta dall’Elogio degli Uccelli: “una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente”. Parole che sintetizzano un’idea semplice, ovvia, ma che fatica ad entrare nell’immaginario collettivo. Paesaggio e territorio sono infatti costruzioni dell’uomo, in funzione di scelte e strategie più o meno pianificate di varia natura (sociale, politica, economica).
Montanari si è legato al concetto di cibo, ovvero ciò che mangiamo ai fini della sopravvivenza. “Ma questo è solo il punto di arrivo di un lungo percorso - ha spiegato il professore dell’Università di Bologna - ci sono adattamenti e trasformazioni prima di ingerire del cibo. È questa la differenza tra uomini e animali, che di solito (ci sono eccezioni, come le api) consumano risorse che trovano in natura. Questo intervento di trasformazione, che rende artificiale ciò che diciamo naturale, non coinvolge solo la fase finale del percorso, quando le risorse diventano cibo. L’uomo costruisce il suo paesaggio e il suo territorio alimentare per ricavarne materie prime che non necessariamente sono presenti in natura. Il grano esiste in stato selvatico come la vite, dare spazio a queste risorse o aver cura degli animali è scelta economica ma anche culturale. Così come è culturale scegliere di lasciare così come sono le risorse selvatiche. Il bosco, per esempio, può essere una forma culturale”.
Tempo fa, a Spoleto, Massimo Montanari tenne una lezione sul tema dell’alimentazione, intitolata “La fabbrica del cibo”. “Ai miei colleghi suonava strano, ma era provocazione. Intendevo dire che noi tendiamo a fabbricare il cibo a nostra immagine e somiglianza. Per questo l’uomo è ciò che mangia, ma allo stesso tempo mangia ciò che è. Lo diceva anche Foierbauch, con questo gioco di parole con cui si può dribblare il discorso e girarlo su se stesso. Cosa si ingerisce ha poco di naturale, non è che l’ultima delle decisioni di un itinerario cominciato con l’individuazione delle risorse. Oggi si parla di insetti. Sono una risorsa alimentare? Sì e no. Lo sono per chi li riconosce come risorsa. È una cosa mentale, culturale, non biologica. La commestibilità è essa stessa culturale, avviene perché l’uomo è onnivoro. L’uomo può mangiare di tutto, quindi non mangia tutto. Se lo sceglie, fa una selezione”.
Per Montanari c’è una diretta corrispondenza tra il buono da mangiare (ciò che valutiamo buono) e il buono da pensare (ciò che riteniamo sia buono prima di mangiarlo). “Ce lo dicono gli antropologi. Levi-Strauss ritiene che il buono da pensare venga prima. Per Harris e i materialisti il contrario. È un dibattito interessante, direi appassionante. Ma dal punto di vista storico è irrilevante o secondario, perché le due cose avanzano di pari passo. Faccio un esempio: le cose si fanno perché sono utili, o sono utili perché si fanno? Aldilà della risposta, la sostanza non cambia”.
“La moltiplicazione dei frutti e delle piante - ha chiuso Montanari - così come la differenziazione dei cereali coltivati, servono per difendersi dalle avversità climatiche. La biodiversità è la risposta. L’economia di mercato punta al contrario, alla semplificazione delle colture e all’individuazione di specie adatte alla vendita. I documenti medievali ci mostrano conflitti tra contadini e signori generati da un modo diverso di pensare la configurazione del territorio. Emergono interessi contrastanti, con i contadini che resistono alla pressione dei signori per trasformare boschi in campi coltivati. Il bosco è difesa, è risorsa, è possibilità di far pascolare i maiali. La diversificazione dei prodotti garantisce non abbondanza, ma sicurezza. La risposta del contadino è quindi la più sicura”.
Dopo Montanari è intervenuto Francesco Violante, dell’Università di Foggia, che ha parlato di territori, campagne e comunità in Capitanata e in Terra di Bari, nei secoli XII-XV. Violante si è basato su dei documenti tratti dal codice diplomatico barese. L’anno è il 1104, dei giudici di Bari devono dirimere una controversia territoriale. La particolarità è che nel dossier compare per la prima volta “universitas”. “È il primo caso europeo di citazione della parola - ha spiegato Violante -. La storiografia si è interrogata sul significato e sul termine più o meno astratto. Comunque, per avere un’idea, a Siena il primo accenno a “università” lo si ha nel 1186, a Parigi nel 1138”.
A chiudere la serata è stato Danilo Gasparini (Università di Padova), che ha fatto luce sul tema “Territorio e terroir nella storia della vite”. Gasparini è partito da un articolo del Corriere della Sera, dove è riportato che, secondo dei medici inglesi, il Prosecco fa male ai denti (e per risolvere la questione, Gasparini ha portato un possibile antidoto, il dentifricio alla Grappa, produzione Nardini). L’intervento si è poi spostato sulle operazioni marketing e sul forte utilizzo della storia (con origini che risalgono all’epoca romana, quando il Prosecco c’era già e si chiamava Puccino), per poi passare alla confusione che viene spesso fatta tra terreno e terroir. “Terroir è un concetto complesso - ha sottolineato il professore - noi invece lo abbiamo tradotto in modo confusionario, semplicistico. È scomparsa la vera definizione, che comprende i saperi, la tradizione… Ai corsi Ais (Associazione Italiana Sommelier) si nutrono di queste cose, non usano mai la parola “territorio” m sempre “terroir”, magari con la “r” francese”. Un esempio degli effetti di questa cattiva traduzione si nota proprio nel Prosecco. L’area storica di produzione è collinare, dove ogni ettari ci vogliono 800 euro l’ora di lavoro. In pianura ne bastano 150, così poi trovi un Prosecco Doc al supermercato a 2 euro. È una battaglia non facile, c’è un trascinamento verso il basso. La difesa può passare attraverso un racconto storico”.
I tre interventi sono stati integrati da discussioni e domande presentate dai partecipanti. Il tempo è volato ed è così slittato a domattina il seminario di Davide Cristoferi (Università di Gent), su “Territori, beni comuni e comunità rurali nel Senese, fra transumanza e affermazione poderale (sec. XIV e XVI)”. Seguiranno gli interventi di Giovanna Bianchi (Università di Siena, “Modelli insediativi tra storia e archeologia: il modello toscano di Riccardo Francovich e le più recenti linee di ricerca per lo studio dei paesaggi medievali”), Paolo Nanni (Università di Firenze, “I suburbi come spazio agrario”), e Dario Canzian (Università di Padova, “Tra Adige e Liverenza: le risorse di una pianura umida nel basso medioevo”). Alla fine, tavola rotonda conclusiva con interventi due dei fondatori del Laboratorio, Alfio Cortonesi e Massimo Montanari, assieme a Gabriella Piccinni (moderatrice) e Giuliano Pinto.
È già stato allestito intanto il Loggiato di Piazza del Popolo, che domani pomeriggio vedrà l’assegnazione del Premio “Città di Montalcino” 2017 a Zeffiro Ciuffoletti, professore di Storia Contemporanea dell’Università di Firenze. Per la sezione dedicata allo Spettacolo e Comunicazione il vincitore è Ugo Chiti. Il premio è promosso dal Comune di Montalcino e dal Consorzio del Brunello.