Ne hanno parlato giornali e riviste nazionali, adesso finalmente ci siamo. Domani si inaugura la mostra di Carlotta Parisi “Carta InCanta, questa piccola favola”. Trenta lavori inediti, tra disegni e sculture in papier-mâché, su cui Carlotta ha lavorato da un anno. Un diario personale e sul mondo visto attraverso uno sguardo sognante ma allo stesso tempo razionale e con un pensiero sempre calibrato. La mostra sarà visitabile presso la Fortezza di Montalcino dove resterà aperta al pubblico fino al 24 settembre. Un ritorno a casa, nella patria del Brunello, dove Carlotta Parisi è nata e lavora presso il suo atelier nel centro storico. Ecco la nostra intervista a poche ore dal taglio del nastro della mostra.
Carlotta, non è la prima volta che esponi a Montalcino, cosa cambia rispetto al passato? No, non è la prima volta. Ne ho fatte altre di mostre ma solamente collettive. Questa è invece la mia prima personale.
Trenta lavori completamente nuovi, tra disegni e sculture in papier-mâché. Opere che hai definito fortemente autobiografiche. Sì, soprattutto nel corpo centrale. Il titolo è “Carta InCanta”. Il sottotitolo, “questa piccola favola”, è legato al mondo della fiaba. La mostra è una storia fantastica in cui mi racconto, sette tappe che accompagnano la mia vita.
Nella tua esposizione descrivi quindi la tua vita. C’è spazio anche per il futuro? Ho immaginato anche un futuro, esatto. Nella stanza della campana, che è dentro la Fortezza, ho creato una famiglia con un figlio più grande, adolescente. È poi c’è il mio futuro ideale, rappresentato dall’oggetto del dondolo: un concetto che mi riporta all’infanzia, ma che simboleggia due poli opposti, ovvero l’equilibrio e l’instabilità della vita e dei rapporti.
Il titolo è “Carta InCanta” e si basa su un materiale di consumo umile. Perché questa scelta? E’ un materiale umile a cui sono affezionata perché è vicino all’infanzia, piace a me come a tutti i bambini. Ricordo ancora il profumo della carta, il foglio bianco, il tracciare le linee. È la semplicità del mio segno, poi consolidato dal tipo di scelta formativa che ho fatto (illustrazione editoriale). L’incanto della carta, poi, viene trasformato in scultura.
Staino ha detto: “Carlotta la carta l’ha sicuramente amata e compresa più di quanto non abbia saputo farlo io”. Forse ha detto così perché l’ho approfondita di più, l’ho distrutta, l’ho ricostruita, magari intendeva in questo senso. Alla fine, con la carta, è l’amore che ci unisce.
Come vi siete conosciuti con Staino? Una decina di anni fa in un’osteria durante una festa di Francesco Guccini che presentava il suo ultimo disco a Bologna.
Anche Cristicchi ha scritto testi su di te. Vedendo le mie sculture ha scritto un pezzo estemporaneo, un rimando molto poetico. Manca di punteggiatura e mi piace tantissimo, è spontaneo, sono capriole di parole. Ci siamo conosciuti grazie al Monte Amiata, si è innamorato di Arcidosso, dei minatori e di Santa Fiora che ha portato anche a Sanremo. Ultimamente ha interpretato il Cristo dell’Amiata, sul Monte Labbro, è un’artista che apprezzo molto.
Quanto ti ha cambiata “Paper Cirkus”, con il quale hai girato l’Italia con Arturo Brachetti? È stato il mio volano. Avevo realizzato nel 2011 una mostra di sculture di carta affiancata dai disegni del mio babbo per esaudire la mia voglia di propormi come scultrice. La mostra è stata vista dal promotore di Arturo che mi ha invitato a portarla a Roma durante il suo tour. Non l’ho fatto perché era “sconnessa”, ho pensato invece ad un lavoro a tema. È piaciuto, e lo abbiamo portato non solo a Roma ma in tutta Italia. È stata un’opportunità unica a livello di visibilità e anche un riconoscimento personale importante a due mesi dalla prima mostra (agosto 2011, ad ottobre ero già a Roma!). In due mesi di scultura è successo tutto quello che non era successo in 15 anni di illustrazione.
Paper Cirkus è stato creato in un solo mese. Il tuo processo produttivo segue l’istinto? Io di natura sono molto impaziente, veloce, però poi ho bisogno di riposo! Voglio vedere la cosa finita, in modo impulsivo.
Come ti definiresti? Illustratrice, scultrice, o altro ancora? Mi definirei scultrice, anche se l’ultima opera della mostra è un bosco e alle pareti ci sono quattro disegni, stampe su carta che riprendono il mio narrare la quotidianità per immagini. Da queste suggestioni giornaliere è nata la voglia di riprendere a disegnare che non significa comunque illustrare. Voglio essere più libera ed esprimere me stessa. Dopo la mostra mi piacerebbe sperimentare il disegno, tornare a disegnare come se fosse un atto intimo e non come illustrazione. Ci tengo a precisarlo.
Dopo un lungo periodo di studio a Milano, sei tornata a Montalcino dove sei nata. Un cerchio che si chiude? Non proprio perché finché c’è vita i cerchi non si chiudono mai. Anche se nella mostra ci sono tanti cerchi che si chiudono. Diciamo allora che questo è un primo cerchio che si è chiuso. Non sento l’esigenza di allontanarmi da Montalcino, anche se, dopo tre anni a crescere mio figlio, sono stata ferma e vorrei ricominciare a viaggiare, a confrontarmi con l’arte contemporanea che qui è difficile perché ce n’è poca. A novembre andrò alla Biennale, il primo viaggio voglio farlo a Berlino. Penso che continuerò a stare qui, è la mia scelta di vita, ma mai dire mai.
Montalcino quanto ha influito nel tuo modo di operare, nelle tue creazioni? A livello di immagini la Val d’Orcia ha fatto tanto. A livello emotivo e di spalla comunicativa, affiancare il mio nome a Montalcino è sempre stato, lo è anche adesso, efficace. Sono felice di essere promossa da Montalcino e di promuovere Montalcino.
Il testo che Simone Cristicchi ha dedicato a Carlotta: “(…) sono schegge di vita ammaestrate le magie di Carlotta. Parto di forma e fantasia, istantanee delicate, attimi congelati nel sempre. Semi di necessaria follia. Capriole improvvise di carta.(…).” Come quelle che è possibile ammirare in Fortezza da domani.