Biodistretto, un’opportunità se Montalcino resta unita

Il Biodistretto è un tema che abbraccia anche i vitigni di MontalcinoSostenibilità ambientale, maggiore qualità della vita e valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze. Sono soltanto tre dei tanti requisiti che un distretto rurale si pone di raggiungere e che possono ulteriormente progredire grazie al biologico. Un settore, quest’ultimo, in forte crescita e con delle potenzialità ancora da sfruttare. Lo dicono i numeri e le esigenze della società moderna. Montalcino, il primo distretto rurale in provincia di Siena e tra i primi in Toscana, guarda avanti e vede nel biodistretto una grande opportunità per il futuro. Il comitato “Montalcino Bio”, che include tra i suoi promotori il Conte Francesco Marone Cinzano che dirige Col d’Orcia, ha capito che il biologico sta diventando una scelta per molte aziende del territorio, vinicole e non. Oltre cinquanta imprese hanno aderito al comitato che rappresenta tante colture locali con imprenditori pronti a scommettere su un progetto interessante e che può diventare rilevante per l’intero territorio. Un distretto, che sia rurale o biologico non cambia, per avere successo ha bisogno di seguire regole precise, di competenze ben definite e, soprattutto, di fare squadra. Anche in questo caso l’unione fa la forza e solo se ci sarà condivisione Montalcino potrà guardare con fiducia, e vincere di nuovo, le sfide dei prossimi anni. Coesione è stato un termine praticamente utilizzato da tutti i relatori della conferenza “L’agricoltura biologica nel progetto Montalcino” che si è tenuta questa mattina al Teatro degli Astrusi. E’ stata l’occasione per un confronto costruttivo e per fare il punto della situazione su quanto è stato fatto finora e quanto c’è ancora da fare in riferimento, anche, alla nuova disciplina che regola i distretti rurali. Ma non sono mancati spunti di riflessione sul tema del biologico e di come lo si può legare ancora più strettamente al nome di Montalcino. L’apertura dei lavori è stata affidata al Sindaco Silvio Franceschelli. “Ringrazio i promotori dell’iniziativa del distretto biologico perché si tratta di un obiettivo del territorio ma anche di una strada senza ritorno vista l’importanza della tutela ambientale. Il Comune, in seguito alla fusione, è stato riconosciuto come distretto rurale. E’importante lavorare su come si formeranno gli operatori del domani. All’interno del distretto sono previste più azioni che dovranno concretizzarsi. Ma bisogna essere parte attiva e fare unità per questo faccio un appello al territorio rivolgendomi in particolare a chi oggi, come in altre occasioni, non è presente. Ai produttori dico grazie per il tempo che dedicate alla crescita della comunità”. Franceschelli ha sottolineato come nonostante il territorio riesca a registrare numeri importanti, sia dal punto di vista economico che delle presenze turistiche, la città deve guardare avanti e fare squadra non rimanendo ferma sui successi ottenuti. Anche perché, come ha sottolineato la professoressa Daniela Toccaceli dell’Università di Firenze, “il valore aggiunto di un distretto rurale è che crea un sistema di qualità territoriale che tocca aspetti come l’innovazione, il marketing territoriale, la qualità di prodotto e ambientale. Ma anche, ad esempio, l’integrazione tra settori come l’agricoltura, il turismo, l’artigianato e i servizi. Gli stessi valori li troviamo anche nel distretto biologico che però aggiunge una qualità molto forte dal punto di vista ambientale ma anche delle produzioni grazie al sistema di certificazione. Aspetti che potenziano il marketing territoriale e del prodotto legato all’origine. Ci sono però degli errori che vanno evitati perché un distretto è uno strumento potente ma non facile da usare. Fattori come la competizione, la mancanza di dialogo, il riduzionismo, l’astrazione e l’imperizia non devono esistere”. Piena sintonia tra i relatori anche sul concetto di sostenibilità. “L’agricoltura biologica può contribuire tanto alla sostenibilità del territorio - spiega il professore Marco Mazzoncini dell’Università di Pisa - perché si enfatizza l’uso delle risorse interne al sistema a discapito di quelle esterne all’azienda. La perdita dei servizi ecosistemici presenta un costo elevatissimo e per questo ricopre un’importanza fondamentale la creazione di infrastrutture ecologiche. Senza dimenticare che con un sistema biologico intensivo, lo dimostrano degli studi, si può addirittura aumentare la produttività”. Il dottor Fabrizio Piva si è soffermato prevalentemente sull’argomento delle certificazioni. Ma ha mostrato anche dei numeri interessanti che fanno capire l’ascesa del bio che “ha visto crescere i propri numeri più di qualsiasi altro settore. Nel 2015 si contavano 2,4 milioni di produttori con l’Italia che si attesta come primo Paese in Europa”. Il Conte Francesco Marone Cinzano di Col d’Orcia, una delle aziende di riferimento in Toscana per il biologico, ha voluto applicare quanto detto prima dai relatori alla realtà di Montalcino. “Abbiamo una predisposizione per la biodiversità. Il 50% del territorio è definito a macchia mediterranea e solo il 15% adibito a vigneto. Ma vorrei anche rifarmi all’appello del sindaco: non è tutta strada in discesa. Non vedo la fame necessaria per portare avanti il progetto. Ci vuole più partecipazione da parte degli operatori economici e un coinvolgimento maggiore dei cittadini. Dobbiamo fare proselitismo perché questo è un progetto per il nostro futuro”. Per la Regione Toscana è intervenuto Barbieri che ha dedicato il focus conclusivo alle normative ma sottolineando, come Franceschelli e Marone Cinzano prima, che il distretto deve essere un progetto condiviso e attivo. “I distretti rurali devono nascere e crescere sulle esigenze del territorio. Un’auto ha bisogno di un buon motore per andare ma che da solo non basta. Servono anche le ruote che sono quattro. La prima ruota per un distretto è la cultura locale. La seconda riguarda le istituzioni che devono credere nel distretto ed essere parte attiva. La terza si lega al tessuto economico perché senza di esso non può esistere il distretto rurale. L’ultima, ma non per ordine di importanza, sono le persone. Anche il tessuto sociale deve sentirsi pienamente parte attiva del distretto”.

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