Biologico: una scommessa vinta in Italia e a Montalcino

Vino sfusoLa Toscana del vino si riscopre “bio”. Aumenta la superficie vitata a biologico in Toscana, in meno di tre anni c’è stato un incremento del 38% e si è passati da 9.243 ettari del dicembre 2013 agli attuali 12.772 ettari (dato del 30 settembre 2016) pari all’8,7% della superficie biologica complessiva. L’Italia (con circa 73.000 ettari) si colloca al secondo posto in Europa (dopo la Spagna) e con la Toscana al terzo posto, dopo Sicilia e Puglia. Sono questi in sintesi i numeri emersi dal convegno di Montepulciano - celebre patria del Vino Nobile - organizzato dalla Cia Toscana e Anabio, con il patrocinio del Comune, che ha visto la partecipazione di numerosi addetti ai lavori, viticoltori. Nell’occasione si sono svolti dei focus group tematici di approfondimento.
Un trend di crescita che interessa anche le grandi denominazioni senesi famose nel mondo: il 20% delle produzioni di Brunello di Montalcino sono biologiche, mentre proprio il Vino Nobile di Montepulciano è arrivato al 18% di bottiglie bio.
“Il biologico non è sicuramente una moda per quanto ci riguarda - ha sottolineato il presidente Cia Toscana Luca Brunelli- dal momento che, con circa 2 mila aziende agricole, rappresentiamo oltre il 40 % delle aziende biologiche in Toscana e molte di queste sono vitivinicole, un dato di grande responsabilità per noi. Nell’attuale Piano di sviluppo rurale sono destinati a questo settore oltre 120 milioni di euro (misure agroambientali e biologiche): come Cia condividiamo la scelta di far crescere il biologico; crediamo nelle indicazioni che insieme alla Regione abbiamo costruito, con il tentativo di raddoppiare questa pratica agronomica. Il bio ha un ruolo importante ormai, e la Cia è e sarà sempre presente e propositiva”.
“Il biologico è una realtà ormai presente e consolidata in provincia di Siena - ha detto il presidente Cia Siena Luca Marcucci. Qui è prima di tutto la professionalità degli agricoltori a fare la differenza e la qualità. Montepulciano è uno dei comuni che fin dall’inizio ha creduto nel biologico, e la grande qualità delle aziende vitivinicole lo dimostrano ogni giorno”.
Siena provincia leader - Gli ultimi dati del Servizio Fitosanitario della Regione Toscana (settembre 2016) ricordano che sono 1.837 i viticoltori biologici in Toscana, il 37% degli operatori biologici regionali. “Tra le province con maggiore estensione di superfici a vigneto biologico - ha evidenziato Alessandra Alberti, tecnico Cia Toscana- c’è Siena al primo posto con oltre 5 mila ettari, quindi Firenze con 3.500 e Grosseto con 2 mila ettari. Se poi si analizzano le vendite, nel 2015 hanno raggiunto complessivamente 205 milioni di euro. Il giro d’affari è realizzato per un terzo sul mercato interno (in tutti i canali di vendita, dalla grande distribuzione ai negozi bio, passando per enoteche e vendita diretta); il resto va nei mercati esteri”.
“Il biologico in Toscana cresce e si consolida sempre di più - ha ricordato Piero Tartagni, coordinatore regionale di Anabio Toscana. Non è più una moda o un trend ideologico, ma un settore della nostra agricoltura sempre più strutturato, basti pensare che la superficie media vitata di un’azienda bio in Toscana è superiore di circa quattro volte rispetto alla superficie vitivinicola media”.
Dall’incontro è emersa forte la consapevolezza che il biologico, a partire dall’agricoltura e dal cibo ma anche in tutte le sue altre declinazioni produttive, possa diventare un potente driver per tirare fuori risorse molto importanti per il Paese, alimentando lavoro e indotto. Tra le criticità del comparto segnalate dal presidente nazionale della Cia Dino Scanavino e dal presidente di Anabio Federico Marchini “c’è la necessità di riorganizzare la rappresentanza politico-professionale del mondo produttivo, oggi troppo frammentata e dispersa in un numero eccessivo di sigle territoriali. Così da sostenere al meglio, assieme alle politiche e le azioni di competenza del Ministero preposto e delle Regioni, il comparto biologico affinché esca definitivamente dal ruolo ‘di nicchia’ e diventi il nuovo paradigma produttivo, assumendo la connotazione di vero e proprio mainstream”.
Un trend, quello dell’agricoltura bologica e biodinamica in evoluzione, dunque, anche a Montalcino, tanto che testate giornalistiche di rilievo se ne occupano. Danielle Pergament, scrittrice ed editor americana che, per il New York Times, ha visitato la Toscana e Montalcino, per parlare proprio di cantine biodinamiche. Di seguito un estratto del suo pezzo uscito online lunedì scorso. “Non ci possono essere sostanze chimiche di sintesi o di irrigazione meccanica. In una vera fattoria biodinamica deve anche crescere una varietà di frutta e verdura, e non ci devono essere animali, siano essi domestici o selvatici, per mantenere questo ecosistema in miniatura sotto controllo.
Sebastian Nasello, l’enologo al Podere Le Ripi a Montalcino, ha spiegato: “La coltivazione biologica non nuoce alla terra. L’agricoltura biodinamica mira anzi a renderla più sana”.
I vigneti biodinamici che ho visitato esportano poche migliaia di bottiglie l’anno, e le cifre dei loro numeri di vendite nette di solito non sono superiori a tre o quattro zeri.
A differenza dei giganti del mondo del vino, queste piccole aziende agricole, non possono aggiungere ingredienti oltre all’uva e al tempo da dedicare ai loro vini (con l’eccezione occasionale di un pizzico di solfiti per conservare la vendemmia).
… È stato proprio in quel momento che ho lasciato i miei figli piccoli vagare liberamente - senza sorveglianza - attraverso l’orto della cantina di Fonterenza a Montalcino.
Fonterenza è gestita da due sorelle, Margherita e Francesca Padovani. Quindici anni fa, le sorelle Padovani hanno trasformato la loro casa estiva dell’infanzia, in un palazzo di 400 anni, sulle colline di Montalcino, in una specie di Eden della vinificazione, una porzione di paradiso italiano lasciando fuori tutte le cose cattive di questo mondo.
I miei figli hanno saccheggiato l’orto dei pomodori maturi e delle prugne cadute. Attraverso il boschetto di cipressi, ho potuto sentire le loro risate, i loro giochi di un’infanzia felice. Mi sentivo abbastanza soddisfatta. Fino a quando ho sentito la voce di Margherita.
Francesca suggerito di andare in città, a Sant’Angelo in Colle, per il pranzo. Dalla terrazza del paese collinare, la campagna italiana era disposta davanti a noi come una trapunta patchwork verde cucita insieme da strade sterrate. Siamo andati a piedi fino alla piazza principale, dove un bambino solitario stava camminando in giro con un pallone da calcio, come se fosse sicuro di trovare un altro bambino con cui giocare insieme. Più in là un uomo in un grembiule urlato qualcosa di molto forte alla finestra di un antico palazzo. C’erano 10 di noi per il pranzo: mio marito, i suoi genitori, i nostri figli, le sorelle Padovani, il marito di Margherita, John, e la loro piccola figlia. Avevamo messi insieme alcuni tavoli sulla terrazza de Il Pozzo, una piccola trattoria che serve classica cucina toscana. Sotto un baldacchino di ombrelli bianchi, la luce del sole di fine estate filtrava.
“Qui il vino è cibo: è la nostra cultura, la nostra storia”, ha detto Francesca. Il cameriere disposto piatti di caldo, fresco fiori di zucca e insalata caprese, mentre Francesca riempito i nostri bicchieri con Fonterenza Rosso di Montalcino. “Vino è trovare la bellezza della vendemmia, trovando la sua personalità: 2014 è stato un freddo, annata difficile; 2015 è stato l’opposto - piena, matura e femminile. Si deve sempre raccontare una storia”.
Il paesaggio è diventato piano piano più scuro e un piccolo flusso di luce solare planava direttamente su un campo di covoni di fieno in lontananza come un laser. Gli dei stavano.
Subito i contadini hanno saputo cosa stava accadendo al contrario di me e di coloro che non conoscono la terra.
“Prendi le tue cose, sta per piovere”, ha detto Margherita, avvolgendo la sua bambina in una coperta alzandosi dal tavolo.
Un secondo dopo, biblicamente, fiumi di acqua piovana sgorgava in fondo alla strada. Margherita stava accanto a me, le ho chiesto se era difficile essere una donna nel suo settore. “La gente non pensava che avremmo potuto farlo”, ha detto. “E noi non sapevamo molto. Abbiamo piantato mezzo ettaro di Cabernet Sauvignon. Che non ha funzionato. E se sapevamo quello che stavamo facendo, non avremmo rotto così tanto macchinari. Ma credevamo di fare la cosa giusta”.
La loro è una impresa romantica. Questi giovani agricoltori con i loro bracciali di pelle e cuoio conciato vivono una sorta di utopia bohemien: fare del buon vino utilizzando solo gli strumenti che Madre Terra fornisce”.

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