Il Cinquecento nella città di Montalcino: lo Statuto

Lo stemma mediceo presente sullo sperone della FortezzaDi poco successivo agli anni della Repubblica di Siena ritirata in Montalcino (1555-1559), lo Statuto di Montalcino del Cinquecento è un testo legislativo del tutto peculiare per il periodo storico nel quale fu redatto e per i capitoli in esso contenuti, ricchi di informazioni e curiosità, utile per gli studiosi e gli storici, interessante per i lettori e gli appassionati. Lo Statuto infatti non era solo la “costituzione” del comune, del quale dettava le norme fondamentali, ma raccoglieva anche il diritto privato, pubblico, penale e processuale. Si trattava di un corpus legislativo tendenzialmente unitario nel quale confluivano le leggi vigenti in un dato momento storico, spesso suddivise per materia in apposite sezioni (chiamate distinzioni o libri).
Il proemio dello Statuto risulta piuttosto articolato e fornisce numerose indicazioni riguardo alle motivazioni della sua compilazione, oltre che sulla redazione statutaria precedente.
Si rammentava, infatti, che il Consiglio generale della campana fu riunito per l’occasione e, per ovviare all’arbitrarietà con la quale i Capitani che venivano mandati a governare a Montalcino procedevano nella decisione delle cause e nell’amministrazione della città, fu deliberata la composizione degli Statuti. Il 28 agosto del 1415, i Priori, il Capitano del Popolo ed i Gonfalonieri elessero tre cittadini della città di Siena (uno per monte): Messer Pietro di Bartolomeo Pecci dottore di legge, Pietro Lentini e Antonio di Matteo di Guido, mentre la comunità di Montalcino scelse due uomini “intelligenti” del luogo: Pietro di Bernardo Lapini e ser Naddo di Pietro di Naddo. I cinque statutari furono, quindi, incaricati della composizione della normativa civile e criminale, da osservarsi nel comune senese, nella sua corte e nel distretto. Era indispensabile che i capitoli di legge non fossero in conflitto con la normativa statutaria senese e non diminuissero le facoltà e l’arbitrio delle magistrature senesi, né tantomeno le entrate di cui aveva goduto il comune di Siena fino ad allora.
Infine, come di consueto, venne espressamente indicato che doveva essere redatta una copia da conservare nella cancelleria di Siena. Dopo aver riepilogato le fasi precedenti alla stesura dello statuto quattrocentesco, ser Giovanni Battista Bandi, ser Bartolomeo Faneschi e ser Girolamo Chiavai spiegano che erano stati scelti dal comune di Montalcino come statutari perchè si era reso necessario procedere ad una nuova redazione. I vecchi volumi - scritti sia in latino che in volgare – in alcune parti non erano più leggibili, perchè l’inchiostro era “spento” e le carte talvolta strappate. Inoltre, erano intervenute consistenti modifiche legislative, aggiunte o abrogazioni. E così il Consiglio Generale Ilcinese ordinò: “che gli detti Statuti si devano riscrivere per chiara intelligenza di ciascuno che gli vorrà leggere o intendere, e che si aggiunghino e riformino dove mancassero e fosse di bisogno, secondo il giudizio degl’infrascritti spettabili cittadini di detta città di Montalcino”. Nella conclusione del proemio gli statutari chiariscono che avevano riscritto, riformato e inserito aggiunte per colmare le lacune degli statuti e che li avevano “accomodati” secondo gli statuti cittadini, come meglio avevano potuto. Un’analoga indicazione si trova al termine della trascrizione dello Statuto, dove gli Statutari ribadiscono di aver apportato le modifiche necessarie a coordinare la vecchia normativa con bandi, riformazioni, ordini e leggi, e di non aver agito in conformità ad esse “sempre, s’intenda, detti statutari non essersi arrogata tale indebita licenza”!

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