Il Palio celebra l’unione tra Siena e Montalcino

Palio Un legame forte e indissolubile, che in occasione delle Feste si rinnova di anno in anno, quello che unisce Montalcino e Siena e che, nell’arco dei secoli, tra lotte e ricongiunzioni, è arrivato fino ai giorni nostri e che viene esaltato nell’evento che rappresenta la massima espressione di Siena e dei suoi cittadini: il Palio. Un legame che la Montalcinonews, in occasione delle due Carriere e non solo, ha raccontato spesso e che, quest’anno, ha voluto vedere e rivelare da vicino, cercando di dare spazio a delle curiosità che forse molti ignorano.
Come sappiamo il Palio oltre ad essere una delle manifestazioni più importanti e rinomate d’Italia è una vera e propria rievocazione storica che affonda le sue origini in un passato lontanissimo. Secondo alcune fonti, infatti, nacque per ricordare un evento storico importante per la città di Siena: lo scampato pericolo corso in occasione della memorabile battaglia di Montaperti del 1260. E, nella sfilata storica del Palio, Montalcino ricopre un ruolo molto importante. È proprio la città del Brunello, infatti, insieme a Massa Marittima, ad occupare un posto d’onore all’interno dei rituali del Palio e le ragioni di questa forte presenza delle due città all’interno della Festa di Siena è da ricercare sui libri di Storia. Montalcino rappresenta la salvezza e il rifugio dei Senesi che vi si ritirarono nel 1555 e dove poterono conservare, per quattro anni, l’indipendenza della propria Repubblica con le proprie leggi e i propri costumi, mentre Massa Marittima viene ricordata per essere stata una città Confederata a Siena e da essa mai sottomessa. In ricordo di questi fatti storici, sulle mura del Palazzo Comunale sventolano i vessilli sia di Montalcino che Massa Marittima e nella “passeggiata storica”, le rappresentanze di entrambe le città, sfilano immediatamente dietro le insegne di Siena. E Montalcino è rappresentata da un tamburino, un porta insegne che sfila con il vessillo recante il simbolo della città e quattro arcieri. Altra notizia curiosa che molti forse ignorano è che il canape, ovvero la corda che serve a delimitare l’area della “mossa” del Palio di Siena, fino a qualche decennio fa venivano forniti da Montalcino poiché erano i migliori prodotti, rigorosamente a mano, nella zona ed i più adatti per la corsa di Piazza del Campo. Ma non finisce qui. Un altro simbolo di quanto le due città siano unite si può scorgere anche sul finale della “sfilata”. A chiudere il corteo, pochi minuti prima dell’ingresso dei Barberi sul tufo e l’inizio della Carriera, a fare in suo ingresso sulla Piazza è il Carroccio trainato da 4 buoi, che ricorda il grande carro a quattro ruote recante le insegne cittadine, intorno al quale si raccoglievano e combattevano le milizie dei comuni, su cui oggi è posto il “Cencio” che andrà in dono alla Contrada che vincerà il Palio. E proprio sul Carroccio, oltre a prendere posto i 4 di Balìa, un inserviente porta-Palio, un valletto che suona la “martinella” sono presenti 6 trombetti e tra le 6 chiarine che accompagnano festose il Palio, ne compare una che porta le insegne di Montalcino e che è stata donata a Siena proprio dall’Amministrazione Comunale e dai Quartieri della città del Brunello.
Ma c’è di più. Il legame che unisce Siena e Montalcino va oltre la rievocazione dei fatti storici ricordati nella sfilata e non si esaurisce nei giorni del Palio. Tre dei quattro quartieri di Montalcino, infatti, sono gemellati con altrettante Contrade: Borghetto e Giraffa, per la condivisione degli stessi colori del cuore, così come Ruga e Tartuca, mentre il Travaglio ha un legame con la Selva che, però, esula dai colori dei vessilli. E così, tra quartieranti e contradaioli, nel corso degli anni, si è instaurato un vero e proprio rapporto di amicizia: durante tutto l’arco dell’anno vengono organizzate manifestazioni e momenti di incontro e aggregazione, ma è durante i giorni di Palio e di Sagra del Tordo che si condividono, con gli amici di Siena, gioie e dolori, “liturgie”, rituali ed emozioni.

Palio dell’Assunta: il Brunello tra i colori del Drappellone

“Il Palio, il vino e la cultura sono elementi caratterizzati di questa zona e rappresentano Siena ed il suo territorio in tutto il mondo. Tutti apprezzano le colline senesi ed i prodotti della sua terra”. Così Elisabetta Rogai, artista fiorentina che espone in tutto il mondo, ha raccontato a WineNews, il sito più cliccato dagli amanti del buon bere, ciò che è racchiuso nella sua “visione” del drappellone che andrà in sorte alla contrada che trionferà il prossimo 16 agosto in Piazza del Campo. Ed è proprio il vino, emblema della sua pittura a dipingere il drappellone. “Il Brunello è il vino buono per antonomasia ed è per questo che ho deciso di usarlo, insieme agli altri vini del senese (Chianti Classico, Colli Senesi e Nobile), per dipingere il mio “cencio”.
Il lavoro della Rogai risulta essere una vera e propria opera culturale. Meraviglioso il volto della Madonna che riempie la parte alta del drappo di seta. Con lo sguardo rivolto in basso, l’attenzione è su un enorme disco dove, come in una foto a 360 gradi, prendono forma i palazzi che circondano Piazza del Campo. È Siena, ma il codice di lettura spazia oltre, rimanda al nostro mondo. Al centro un cielo azzurro-cobalto illuminato, in oro, dalla luna e dalle stelle. Forte il rimando al soffitto della Cappella esterna che sembra appoggiarsi alla facciata del Palazzo Pubblico.
Attorno, sempre con il prezioso metallo, la scritta: “Amate la giustizia voi che governate la terra”. La riproposizione del messaggio che si legge nell’affresco “Le allegorie del buono e cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti e nella Maestà di Simone Martini all’interno del Museo Civico senese, che richiama, anche, l’enciclica sull’ambiente di Papa Francesco, affinché l’umanità cambi il modello di sviluppo per proteggere la casa comune. La terra. In sintesi: integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, perché senza giustizia è impossibile ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.
Il messaggio corre in parallelo con quello lanciato da Expo 2015: nutrire tutti rispettando il nostro habitat per una corretta sostenibilità delle risorse. Sul capo della Vergine un’aureola di spighe di grano.
Già questa parte dell’opera di Elisabetta Rogai potrebbe essere esaustiva, ma l’artista con la sua téchne dimostra veramente un saper fare; non si esaurisce in un sapere. Con l’abilità e la teoria Rogai riesce a produrre cose contingenti, che possono esserci e non esserci. Ed ecco, infatti, a metà dipinto un bambino che gioca con i barberi. Il divertimento che ha accompagnato l’infanzia di tutti i senesi.
Un elemento che poteva essere anche omesso, ma che la sensibilità dell’artista ha ritenuto utile. Una connotazione che rimanda all’estetica per uno spazio di discussione aperto a chi vuole comprendere il significato del Palio.
Così come l’uso del vino in una tavolozza cromatica sapientemente usata e calibrata. Insieme ai colori olio ecco, di nuovo, un ritorno alla terra di Siena. Sono presenti tutti i vini senesi. Un bene prezioso che rende uniche le creazioni di Elisabetta Rogai, perché con il passar del tempo il vino invecchia, così il colore cambia, trasformando le sue produzioni in qualcosa di eternamente vivo.
L’artista, attraverso il suo lavoro, ha lanciato Siena e il suo Palio dentro l’Expo. Ha fatto conoscere al mondo le marche identificative del territorio senese. Le eccellenze che si traducono in qualità della vita, paesaggi rurali e agricoli, prodotti di vocazione, elementi e colori come una corsa di cavalli unica al mondo. La sua gente. La sua devozione al sacro.
Nella parte in basso un frammento di galoppo. Tre cavalli che cercano di guadagnare il traguardo. Pennellate di forza che rendono, appieno, l’essenza dei tre giri sul tufo di Siena.
Nel suo insieme il drappellone dipinto da Elisabetta Rogai appare come un paradigma di vita.

Il Gobbo “re” di Piazza del Campo
Al secolo Francesco Santini, nato a Montalcino il 14 dicembre 1809 e battezzato nella Chiesa di  Sant’Egidio, soprannominato “Gobbo Saragiolo”, per una sua caratteristica fisica, è uno dei fantini del Palio tra i più conosciuti di tutti i tempi. Il suo esordio in Piazza del Campo, alla tenera età di 14 anni, è subito vittorioso e lascia intravedere una carriera brillante. Con 15 Palii vinti non teme rivali. Corre per molte Contrade, anche nemiche fra loro (tra tutte Oca e Torre), e le cronache delle sue  gesta fanno emergere la personalità del fantino di Piazza: abile, astuto, prepotente, avido di gloria e denaro. Lo stile di Santini nel “Campo” è spesso lo stesso anche nella vita quotidiana con testimonianze di arresti per insolenza, turpiloquio, ingiurie e corruzione. Saragiolo, il fantino di Montalcino, occupa le pagine più intense del Palio di Siena.
La Carriera del Santini
Fabbro di professione (mestiere ereditato dal padre), corse il Palio di Siena ben cinquantanove volte tra il 1823 ed il 1860. Vestì i giubetti di quattordici Contrade, solo Aquila, Civetta e Lupa non lo montarono mai. Piccolo (una stampa dell’epoca, in occasione della prima vittoria, lo descrive alto 2 braccia, cioè circa 120 cm, e di 80 libbre di peso, cioè appena 36 kg) e gobbo (per questo il soprannome), incantava Siena con la sua abilità col nerbo, la sua freddezza e la sua capacità di vincere anche con barberi di poche pretese trasformandoli in campioni, doti che ne fecero un mito anche presso i suoi contemporanei. In Piazza del Campo esordì giovanissimo: non ancora quattordicenne difese i colori della Chiocciola, al Palio dell’Assunta del 1823, riportando una sorprendente vittoria sul baio scuro di Stanislao Pagliai, uno dei cavalli più vittoriosi della storia del Palio di Siena. Dovettero però passare sei anni prima di rivederlo vincere: cosa che fece alla grande, conquistando il proprio cappotto personale nel 1829. Le Contrade quasi lo pagavano a peso d’oro per averlo. Tra tutte la contesa tra le due grandissime rivali Oca e Torre, che già all’epoca si davano battaglia per guadagnare il maggior prestigio cittadino. Le dirigenze dei due rioni cercarono in ogni modo di guadagnarsi la fiducia del Gobbo Saragiolo. Ma lui, ambendo per lo più al denaro e lontano da ogni tipo di influenza contradaiola, vestì sia il giubbetto di Salicotto che quello di Fontebranda: per l’Oca corse nove Palii (vincendone tre), per la Torre ne corse 11 (vincendone cinque). Il suo più grande rivale in Piazza fu Francesco Bianchini detto Campanino; ma i loro scontri andarono ben oltre la corsa, sfociando in un grave episodio di cronaca. Accadde infatti che nel novembre 1838 proprio Campanino fu coinvolto in una rissa in occasione di una corsa a Castelnuovo Berardenga, e provocò l’uccisione del barbaresco del Gobbo Saragiolo. Lo stesso Gobbo si rese protagonista di alcune scorrettezze nei confronti degli altri fantini. In generale, il Gobbo non era amato dai suoi colleghi: come riportato dagli storici, “è odiato da tutti i fantini perché fa delle prepotenze”.Il Gobbo Saragiolo visse nell’esclusivo interesse per i soldi e non c’è dubbio fu un vero e proprio mercenario.
Le birbanterie del Gobbo Saragiolo
Se, fra i fantini di tutti i tempi si dovesse eleggere il fantino ideale, il “fantino della storia”, la palma andrebbe a lui, al Gobbo Saragiolo e non solo per l’insuperato numero di vittorie. Le cronache delle sue gesta fanno emergere un campionario di vizi e di virtù che fanno del Gobbo Saragiolo il prototipo del fantino di Piazza. Il Sergardi racconta che nell’agosto del 1832, quando vinse il Palio nell’Oca, “per colmo di birbanteria si era tutto insaponato, perché se mai fosse stato preso, non potessero fermarlo, atteso lo scivolo”. Forse avrebbe dovuto ripetere l’op­erazione al Palio successivo, quando, correndo ancora nell’Oca, fu fermato da Campanino, fantino della Civetta e l’episodio è così commentato dal Bandini: “…il fantino della Civetta…, gli diede molte nerbate che restò sciabordito che al Casato non sapeva ove andare con piacere delli adunati per la Contrada dell’Oca che voleva vincere per forza… quello dell’Oca… è odiato da tutti i fantini perché fa delle prepotenze”. La birbanteria del Gobbo Saragiolo si manifestò ancora il 2 luglio 1855 quando, correndo nella Selva, al secondo giro andò a dritto a San Martino e, come racconta il Comucci “seri e gravi indizi mostrarono che egli avesse l’ani­mo di eliminarsi dalla pista. Infatti, appena entrato in San Martino, fermò subito il cavallo, ne discese, si tolse l’uniforme della contrada e si rivestì dei propri abiti che un suo figlio nascostamente li aveva recati, anziclx. secondo la consuetudine in contrada”. Il giorno successivo ai due selvaioli che gli chiedevano spiegazioni il Gobbo Saragiolo rispose: “Ma che dovevo vincere per voialtri miseroni che mi davi 140 monete, quando ne ho guadagnate 170?” Per 30 vili monete il Gobbo aveva tradito la Selva: un atto ignobile, anche se si deve ammettere che per la stessa cifra Giuda fece di molto peggio.
La fedina penale
2 luglio 1828 Venne scarcerato per una condanna per “arbitrio e insolenza verso Giovanni Batazzi capitano della contrada del Drago”.
24 luglio 1832 Venne condannato per “contravvenzione sulle corse veloci dei cavalli”.
24 ottobre 1833 Venne condannato in “ore 6 di sequestro nel Pretorio per ingiurie a danno di Carlotta Bartaletti e per il turpiloquio”.
8 marzo 1836 Venne condannato per “rissa clamorosa e turpiloquio, e più particolarmente per le espressioni da esso proferite verso Maria Vergine nella circostanza di detta rissa; in due giorni di carcere con uno dei quali in segreta a solo pane, ed acqua”.

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