Sembra assurdo e paradossale ma uno dei temi affrontati e disciplinati, quasi sempre, già all’epoca degli statuti comunali di area senese era il gioco d’azzardo. La lettura degli articoli contenuti negli Statuti svela I motivi della loro introduzione nel corpus legislativo.
Il gioco era considerato causa principale di qualsiasi altro vizio, per questo si riteneva necessario proibirlo e punirlo. Il giocatore, infatti, toglieva energie al proprio lavoro, riducendo le entrate e si dedicava ad attività ludiche, aumentando le spese. Tali situazioni dovevano essere frequenti, tanto che, con frequenza, si riscontrano norme poste a salvaguardia dei beni dotali dagli atti pregiudizievoli del marito, come il gioco.
Le disposizioni erano dirette, da un lato, ad evitare il rovescio finanziario di chi perdeva, dall’altro a tutelare l’incolumità fisica di chi partecipava al gioco o assisteva come spettatore nel caso in cui il gioco fosse stato in sè pericoloso, come quando consisteva nel lancio di oggetti. Le pene erano generalmente raddoppiate per chi fosse stato scoperto a giocare di notte ed erano estese a chi avesse messo a disposizione la propria casa, la bottega o la taverna. La rigidità dei divieti era spesso attenuata da un elenco tassativo di giochi leciti. A Montalcino, lo Statuto cinquecentesco consentiva il “gioco di tavole con dadi, le minchiate, i germini, i trionfi, il dietro, il diavolo, il trenta, il poi, creccone, romito e farinaccio”, mentre tutti gli altri giochi di dadi o carte erano vietati. Inoltre, operava un meccanismo di presunzione. Infatti, secondo lo Statuto, I famigli del Capitano potevano indagare di giorno e di notte alla ricerca di giocatori, erano autorizzati ad accedere ai luoghi nei quali supponevano che si trovassero i giocatori e nel caso in cui fosse stato rifiutato loro l’accesso o fossero stati “smorzati I lumi” di notte, “allora si presuma il gioco proibito essere in detta abitazione”.
Le somme perse al gioco potevano essere recuperate chiedendole entro sei mesi al vincitore. Oltre al giocatore, erano autorizzati ad inoltrare la domanda al Magnifico Capitano ed al suo giudice anche i genitori, i fratelli, gli zii, i tutori o i curatori, e la moglie. l’estensione dei soggetti legittimati ad agire in giudizio era per lo più indispensabile, in quanto permetteva ai familiari danneggiati sotto il profilo economico di tutelare le proprie ragioni anche senza il consenso del giocatore, che difficilemente si sarebbe esposto chiedendo la restituzione di quanto pagato. Sarebbe sorretta dall’obiettico comune di limitare e controllare le modalità dei giochi, la normativa mutava secondo criteri spazio-temporali. Il quadro che emerge da questi paragoni è variegato e legato alle tradizioni locali, ma riflette la situazione anche di altri Comuni toscani e italiani.
dati a cura di 3BMeteo
14 dicembre 2024 19:30