Ogni 27 gennaio, ormai da 15 anni, in Italia si celebra il “Giorno della Memoria”: attraverso commemorazioni, conferenze, concerti e tante altre iniziative diverse, vengono ricordate e piante le vittime dell’Olocausto. A settant’anni esatti dall’apertura dei cancelli di Auschwitz che spalancarono agli occhi del mondo l’orrore della Shoah, anche se l’amministrazione comunale non ha organizzato alcunchè, la Montalcinonews ha voluto dare voce a chi ha vissuto gli orrori dei campi pubblicando il video “Guerra a Montalcino” dove, dal minuto 20:30, Bruno Massoni, unico testimone di Montalcino ancora in vita, ricorda i suoi mesi di prigionia nel Campo di Lavoro austriaco di Mauthausen, aperto durante la prima guerra mondiale dagli austriaci aper prigionieri di guerra ad est di Mauthausen per lo sfruttamento della cava del granito Wiener-Graben, inaugurato, poi, come lager nazista l’8 agosto del 1938.
Era il 19 febbraio 1944 quando le milizie fasciste, per conto dei Tedeschi eseguirono, sul territorio di Montalcino, un feroce rastrellamento che portò all’arresto di una ventina di ragazzi. “Ci portarono - racconta Bruno Massoni - al campo sportivo di Siena dove ci tennero per due giorni nei locali sotto le tribune ed obbligarono i miei compagni, attraverso una terribile doccia fredda, a parlare e confessare: ovviamente parlarono di un ragazzo, Vincenzo, che era riuscito a scappare e che sapevano di non mettere in pericolo. Ci spostarono poi in carcere a Siena: alcuni furono rilasciati, altri invece, Emilio, il Boccardi, Neri, Schioppetta, Spartaco ed militare, un certo Traina, rimasero con me. Da Siena ci trasferirono poi a Parma denunciati al Tribunale Speciale della Difesa dello Stato ma non facemmo in tempo ad essere denunciati perchè Parma fu bombardata e ci trasferirono nel Campo di Concentramento di Fossoli. Io che avevo un ruolo attivo all’interno del Campo sono stato privilegiato rispetto ai miei compagni di sventura e sono rimasto a Fossoli per circa un mese fino a che arrivò la notizia che gli Alleati avevano liberato Siena e si stavano avvicinando e ci comunicarono l’imminente trasferimento. Ci caricarono nel treno merci e a Venezia sostammo per un giorno ed una notte all’interno della carrozza piombata. Qui un Capitano delle SS della Gendarmeria mi consegnò una valigia da restituirgli all’arrivo a Mauthausen. Quando pronunciò quel nome e capii dove stavamo andando mi resi conto che la mia vita poteva essere finita. all’arrivo al Campo il Capitano, quando gli restituii la valigia che mi aveva consegnato mi disse: “io non posso aiutarti ma ti dico: ognuno deve pensare a se stesso e obbedisci, fai quello che dicono se vuoi sperare di sopravvivere”.
Mi misero a lavoro nella cava di granito e la guardia che ci controllava con me si comportava abbastanza bene, non come faceva con il mio amico Vannozzi, un ragazzo di Firenze cieco da un occhio, che veniva continuamente picchiato. Un giorno non ci vidi più ed andai in soccorso del mio compagno e la guardia mi disse: “non ti ammazzo ma ti garantisco che per te sarà peggio che morire”.
C’erano poi alcuni ragazzi ucraini arruolati nelle SS che, nelle serate in cui andavano in città e rientravano al Campo ubriachi usavano fare un “gioco”: scommettevano su chi sarebbe stato in grado di uccidere un prigioniero solo con un cazzotto. Non era difficile per loro, ragazzi giovani e corpulenti, ammazzare uno di noi, ridotti pelle ed ossa. Una sera decisi che se mi avessero scelto come cavia mi sarei vendicato come potevo e cioè sputandogli in faccia quella brodaglia che ci davano da mangiare, un pastone fatto di miglio acqua e sale. Fui scelto ma mentre andavo verso la mia ciotola per prendere il miglio da sputare addosso al ragazzo mi misi a cantare “La porti un bacione a Firenze” e furono catturati dalla canzone tanto che mi chiesero se ero un tenore. Io ero anche stonato madissi di sì e scelsero un altro prigioniero da ammazzare al posto mio”.
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