La canapa è una specie botanica annuale, appartenente alla famiglia delle cnnabaceae o canabinacee, ordine delle urticalis; la famiglia che a sua volta si suddivide in due generi: cannabis e humulus e rappresenta da sempre, anche nel passato di Montalcino, una risorsa che, forse, potrebbe essere riscoperta e rappresentare una risorsa per il territorio.
La canapa è stata la pianta più coltivata a partire dal I millennio a.C. e fino al 1950, quando venne soppiantata perchè l’industria di sintesi fu in grado di produrre a basso costo prodotti sostitutivi, che però non possedevano le qualità naturali della canapa, i cui tessuti sono freschi e traspiranti in estate e caldi in inverno - cioè confortevoli in ogni stagione - capaci di assorbire l’umidità, anallergici, non irritano la pelle, non conducono l’elettricità e proteggono dai raggi ultravioletti.
Dalla canapa e dei suoi usi se ne parla nei testi antichi dei Babilonesi, dei Persiani, degli Ebrei, dei Caldei. In Europa sembra sia stata coltivata dagli Sciiti nella zona del Mar Caspio, fin dall’età del bronzo, mentre in Italia la sua coltivazione si diffuse fra il V e il VII secolo a.C.
Le tecniche di coltivazione sono state descritte dall’agronomo romano di origine iberica Columella (I secolo d.C.), negli scritti di Plinio (I secolo d.C.) e di Palladio (IV secolo d.C.), ma fra i romani il primo in assoluto a parlarne fu il poeta satirico latino Lucillo nel II secolo a.C.
In Italia le zone interessate alla coltivazione della campana sono state la Pianura Padana (in particolare il ferrarese ed il bolognese), la Campania e la Toscana con il territorio di Montalcino.
Per esempio, fino alla seconda guerra mondiale, quasi tutte le famiglie contadine della Val d’Orcia la coltivavano in proprio per le esigenze familiari, in piccoli appezzamenti di terreno, facendola poi macerare nei corsi d’acqua se presenti nel podere o in piccoli “fontoni” realizzati per questo scopo, al fine di ricavarne il tessuto che si utilizzava per fare lenzuola, fodere per guanciali, canovacci, asciugamani e “bandinelle” (lunghi asciugamani che scorrono su rullo di legno, sempre presenti nelle cucine delle grandi famiglie coloniche e nei refettori delle comunità monastiche), ma anche sacchi e balle ove riporre i raccolti per poi stoccarli e trasportarli.
Alcuni manufatti in canapa erano utilizzati anche nel tiro della fune e nella corsa degli insaccati, giochi campestri che allietavano le numerose feste “campagnole” che, un tempo, si svolgevano in ambito rurale.
La lavorazione della canapa risale all’VIII millennio a.C. e si dice che il primo tessuto dell’uomo sia stato fatto proprio con questa specie botanica.
Dalla canapa si ottengono fibre lunghe da utilizzare per i tessuti, ma anche fibre corte per la cecclulosa ed i feltri. La parte legnosa trova impiego nell’industria del legno e nell’edilizia. Dai semi, poi, sono estratti olio e farine da impiegare nella preparazione di cosmetici e nell’alimentazione umana e animale.
È accertato che nel 100 a.C. i cinesi con la canapa già producevano la carta e che nel 1451 su carta di canapa viene stampata la Bibbia di Gutenberg; anche la dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776, fu siglata su carta di canapa.
La massima utilizzazione di questo vegetale si ha dal Medioevo agli inizi del ’900.
è stata prevalentemente coltivata e successivamente lavorata per ricavarne tessuto da utilizzare per confezionare biancheria (anche intima), abiti da uomo e da donna, corde, canapi (a Montalcino fino agli anni ’50 del secolo scorso, sotto le mura di Viale Strozzi, detto comunemente Viale della Madonna, un funaio fabbricava canapi e funi di varie dimensioni e per vari usi e riforniva il Comune di Siena per i canapi del Palio), vele, tele e molti altri usi.
A Torrenieri, nel frattempo, era stata avviata un’attività sartoriale artigianale – la Milletrame di Stefania Papi e Luana Caiani, dove la canapa è la protagonista indiscussa – che produce con successo abbigliamento per uomo e donna realizzato con i tessuti di canapa e lino – tutti colorati con pigmenti naturali – riprendendo così una tradizione di questo borgo, vecchia di secoli. Infatti, da un’indagine del parroco della Parrocchia di Santa Maria Maddalena di Torrenieri, Don Francesco Cantucci, effettuata nel 1775, risultò che la popolazione femminile della comunità era dedita prevalentemente all’attività di filatrice, dichiarata da ben 29 donne, di tessitrice, dichiarata da 8 e di sarta da 7.
Mentre le filatrici erano mogli dei cosiddetti zappaterra, le tessitrici e le sarte appartenevano ad un ceto più elevato in quanto mogli di postiglioni, di osti, di fattori.
L’elevato numero di tessitrici, fa presumere che i tessuti (ovviamente non tutti di canapa, ma, forse, prevalentemente di lana) venissero destinati anche ad un mercato esterno, grazie alla felice collocazione di Torrenieri su di un’arteria di grande comunicazione quale era allora la Regia Romana Postale, alla presenza di un’importante Stazione di posta per il cambio dei cavalli e di diverse osterie.
A Torrenieri l’ultimo telaio ha cessato di tessere dopo il secondo conflitto mondiale ed oggi si può ammirare nel Museo della Mezzadria di Buonconvento.
dati a cura di 3BMeteo
14 dicembre 2024 19:30