Una storia, quella di Montalcino che affonda le sue origini in un lontano passato e che è affascinante conoscere per scoprire le radici da cui proveniamo e la nascita della città. In un viaggio all’interno della sezione archeologica del museo di Montalcino si scopre che, anche l’Abbazia di Sant’Antimo, di cui si hanno notizie risalenti all’XI-XII secolo, conservava anche arte etrusca. Si tratta di un cippo etrusco realizzato in trachite del peso di 31 chilogrammi con una altezza di 39 centimetri ed un diametro massimo di 30. Il pezzo, integro, si presenta come un grosso ciottolo, con una forma ovoidale schiacciata e rastremata verso il basso, dov’è percorso da un solco orizzontale largo circa 1 centimetro che delimita la parte in vista, accuratamente levigata, da quella scabra non in vista che veniva inserita originariamente in una base di pietra andata perduta. La superficie appare lucida per l’accurata levigatura. Il dorso, nel senso della larghezza, è decorato da una folgore stilizzata a rilievo, simile ad una freccia con due punte alle due estremità rivolte verso il basso, fiancheggiata ai lati della sommità da due piccole losanghe, anch’esse in rilievo. Il cippo in trachite insieme ad un altro cippo analogo, oggi scomparso e noto solo da una foto eseguita quando il pezzo si trovava presso il Castello della Velona vicino a Castelnuovo dell’Abate, proviene dall’Abbazia di Sant’Antimo. I cippi erano inseriti in due lastre di marmo bianco di riutilizzo, al lato della porta settentrionale dell’Abbazia, detta porta dei Catecumeni. Sulla lastra di sinistra compare, in senso verticale, un’iscrizione funeraria paleocristiana disposta su tre righe, lacunosa nella zona centrale, dove è stato ricavato un incavo di forma ovale più espanso in basso; l’incavo mostra a metà dei margini laterali due piccoli gradini. Anche la lastra di destra presenta un incavo analogo, ma privo di gradino; è chiaro che le due cavità erano state realizzate per , in occasione dei grandi forma ovoide: i due cippi in pietra appunto. I cippi vennero successivamente asportati dalla parete dell’Abbazia, intorno al 1870, in occasione dei grandi restauri a cui il monumento fu sottoposto. Nel 1892 sappiamo che le due pietre erano già presenti nel vicino Castello della Velona, allora di proprietà della nobile famiglia Rossini - Martelli, dove furono viste dall’architetto Spighi, giunto da Firenze per riprendere i lavori di restauro dell’Abbazia definendo appunto i due oggetti come opere in pietra utilizzate per decorare una delle porte laterali del monastero. Da allora, dei due pezzi non abbiamo più notizia fino agli anni cinquanta del XX secolo utilizzati come alari per il focolare di un camino del Castello di Velona, nel 1969 quando la Soprintendenza Archeologica per la Toscana procedette al recupero fu tuttavia ritrovato soltanto un cippo, quello che stava originariamente alloggiato nella nicchia destra della parete dell’Abbazia.
Il cippo esposto databile al IV-III secolo a.C., rientra in una tipologia nota realizzata con pietre dure (come la diorite, la trachite, il basalto e la serpentina) diffusa in tutta l’Etruria, per lo più interna con significativa concentrazione nell’area volsiniese e con tutta probabilità in relazione ad aree di culto dedicate a divinità ctonie. l’iconografia del fulmine che presenta il cippo di Montalcino è quella classica che rimanda agli esempi noti sugli specchi etruschi di IV e III secolo a.C. In base alla morfologia i cippi etruschi sono stati distinti in due tipi. Un tipo A generalmente di piccole dimensioni con spigoli stondati ed un gruppo B di forma ovoide rastremato in basso. Il gruppo B è distinto a sua volta in due tipologie in base alla sua funzione: destinazione, che presenta generalmente una iscrizione del defunto e una anepigrafe, con o senza decorazione. Il cippo di Montalcino rientra nella tipologia B con decorazione; ad oggi risultano in questa tipologia quattro esemplari provenienti da Orvieto, uno da Bolsena, uno da Sinalunga, uno da Pisa e uno da Perugia.
Questi cippi nell’immaginario etrusco dovevano essere considerati come pietre di origine celeste precipitate a terra dai fulmini, che talvolta vi venivano rappresentati, divenivano essi stessi simulacri aniconici divini e quindi oggetti di culto. Le provenienze di questi cippi quando sono note rimandano infatti ad aree sacre con spesso la presenza di un santuario. l’Abbazia di Sant’Antimo sorge al centro di un territorio, quello di Montalcino, che presenza un quadro diffuso di testimonianze archeologiche, anche se frutto di rinnovamenti casuali e sporadici con la sola eccezione del sito di Poggio alla Civitella, in particolare per il periodo ellenistico. Per quanto riguarda i cippi murati nell’Abbazia di Sant’Antimo possiamo quindi ipotizzare che non lontano dal monastero esistesse un luogo sacro per gli etruschi della zona e che secondo una prassi ben documentata di persistenza di culto cristiano in luoghi di culto etrusco, vi si sarebbe sovrapposta l’abbazia romanica.
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14 dicembre 2024 19:30