Montalcino ed il Brunello: nel pensiero dei “guru” del vino

Antonio GalloniSalvaguardare il brand Brunello e, di conseguenza il territorio in cui esso si produce, deve essere, per chi, come il Consorzio si trova a ricoprire un ruolo di tutela su uno dei prodotti simbolo del Made in Italy, famoso e apprezzato in tutto il mondo, uno degli obiettivi principali, una via da percorrere per mantenere sul mercato il posto di eccellenza che, negli anni, il Brunello si è conquistato. Per fare questo è necessario che gli organi di tutela prendano in considerazione, non solo le oscillazioni del mercato, ma anche valutare il pensiero della critica e riflettere sulle tematiche prese in esame da coloro che, con il loro lavoro, sono capaci di influenzare i consumatori.
Molti tra i “guru” della stampa enogastronomica, negli ultimi tempi, stanno puntando i riflettori su Montalcino principalmente per porre quesiti su delle problematiche importanti che riguardano il Brunello, il suo territorio e la crescita del brand, interrogandosi, non solo sui vini, ma anche sulla morfologia del territorio, e di tutto ciò che essa comporta, del ruolo del Consorzio e dei produttori di Brunello. Si parte da Kerin O’Keefe (Wine Enthusiast), forte sostenitrice da sempre della necessità della zonazione del territorio del Brunello, a Monica Larner (The Wine Advocate), che recentemente ha pubblicato uno studio dettagliato sui pregi ed i difetti della denominazione di Montalcino, fino ad arrivare ad Antonio Galloni, l’ex “pupillo” di Robert Parker, oggi “one man show” con il suo Vinous nato nel 2013.
Proprio come Monica Larner parla del 2007 come un’annata “nefasta” per il Brunello, partendo dall’analisi del 2009, ultima annata entrata in commercio all’inizio del 2014, Antonio Galloni parla di una vendemmia estremamente impegnativa, caratterizzata da un’improvvisa ondata di caldo nel mese di agosto. “C’è molta poca apertura a Montalcino. Ogni annata non può essere epica e credo che il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, abbia commesso un grave errore nell’assegnare, alla vendemmia 2009, quattro stelle su cinque. I produttori guardano al Consorzio per avere una guida, un orientamento ed il Consorzio, assegnando quattro stelle all’annata, ha dato un segnale confuso ai produttori dando una fiducia ingiustificata alla vendemmia. E gran parte della produzione sarebbe dovuta essere declassata e imbottigliata come Rosso di Montalcino, ottimo per il 2009”. Ma forse, il 2009, rappresenta un’annata di sbandamento e transizione per il produttori di Montalcino, non a caso, anche Galloni, afferma che, per gli amanti del Brunello c’è una possibilità di riscatto. “I 2010, che stanno prendendo forma, promettono di divenire degli eccellenti Brunello. Ma anche i 2012, risulta essere un’annata calda ma molto promettente, per poi passare al 2013, dalle caratteristiche climatiche diverse (annata più fresca e temperata), e dalle prospettive allettanti. Unica nota stonata il 2011 che si avvia ad essere un incrocio tra il 2007 ed il 2009”.
Nel suo articolo però, Galloni parla, definendola una verità scomoda, dell’incoerenza produttiva che il Sangiovese ha nel territorio di Montalcino. Ed è proprio questa alternanza di risultati che, dice: “ha portato alla diffusione, tra i produttori, di altre uve per “migliorare” i vini che culminò nello scandalo “Brunellopoli” di qualche anno fa. Ora che i produttori sanno di essere sottoposti a controlli più frequenti, le uve internazionali sono in gran parte scomparse tra i vigneti ed il Sangiovese è tornato ad essere ciò che da sempre è a Montalcino: un esecutore fiacco. Oggi, non vi può essere dubbio che molti dei migliori Sangiovese in Toscana provengono dal Chianti Classico e non da Montalcino”.
La motivazione di tutto questo, secondo Antonio Galloni, è da ricercare all’interno del Consorzio del Brunello che, se, da una parte rappresenta l’organo di tutela del vino più potente ed organizzato in Italia, capace di svolgere un eccellente lavoro di promozione del prodotto a livello globale, dall’altra ha dato modo, durante il boom degli anni ’90, di elevare la reputazione, indistintamente, di qualsiasi produttore ne facesse parte, fornendo anche a chi non aveva requisiti e standard di qualità sufficienti, di “cavalcare l’onda del successo” sulla scia delle cantine più quotate.
“Durante tutti questi anni, alcuni dei produttori di Montalcino non hanno fatto i necessari investimenti in viticoltura ed enologia creando un ritardo in tecnologia e ricerca con la conseguenza inevitabile di una riduzione di qualità in un momento in cui, invece, il mercato è diventato molto più sofisticato, colto ed esigente”.
Come suggerisce Galloni, uno spunto di riflessione su questo argomento arriva da esempi di altri consorzi, come il Chianti Classico, meno forte e potente di quello del Brunello: “la reputazione della denominazione per la produzione di un oceano di vini mediocri ed economici ha spinto i produttori ambiziosi e di qualità a cercare percorsi alternativi, più difficoltosi. Molti produttori hanno scelto di fare i loro migliori vini al di fuori del sistema della denominazione formale. Lungo la strada, hanno lavorato diligentemente per migliorare la viticoltura e la vinificazione ed il successo di questi vini ha costruito l’ottima reputazione di quelle tenute. Oggi, i migliori Sangiovese dal Chianti Classico occupano un livello completamente diverso di qualità da tutti gli altri, cosa che non succede per il Brunello, dove solo una manciata di cantine si distingue dalla massa, sa produrre vini di alta qualità, investe sulla ricerca e la tecnologia e mantiene, sul mercato, il posto di eccellenza che merita. Tali proprietà si sono stabilite esclusivamente sui meriti dei loro vini e non sul retro di una prestigiosa denominazione. Ma a Montalcino la storia è diversa. Quando il più famoso produttore di Brunello e grande sostenitore del Sangiovese in purezza, Gianfranco Soldera, lascia il Consorzio, questo è sintomo di guai molto seri, perché ci sono almeno altri 10-12 produttori di alta qualità che farebbero la stessa cosa in un istante se solo pensassero che possono farlo senza danneggiare la loro attività”.
Secondo Galloni, Montalcino ha bisogno di trovare un modo per aprirsi al mondo, e, per fare ciò c’è bisogno anche della costruzione di infrastrutture e strutture turistiche, come alberghi e ristoranti di alta qualità, che, ad oggi, la città non ha. In più, anche i produttori devono fare qualcosa. Il loro compito è di prestare più attenzione alla viticoltura e: “cercare di “svecchiare” gli ormai antiquati ed obsoleti regimi minimi di invecchiamento in rovere”. Così come Galloni, anche la corrispondente italiana per “The Wine Advocate” (Robert Parker), Monica Larner, ha dichiarato recentemente i suoi dubbi sul reale potenziale sia di invecchiamento del Brunello, sia della omogeneità qualitativa del territorio. Altro compito, secondo Galloni, del Consorzio, dovrebbe essere quello di svolgere un lavoro serio per individuare quali aree a Montalcino siano in grado di produrre un Brunello degno di essere definito tale. Il resto dei vigneti della zona dovrebbe essere riservato alla produzione di Rosso di Montalcino o semplicemente di qualche altra denominazione anche permettendo l’uso di altri vitigni oltre al Sangiovese. “L’individuazione e la creazione di queste zone è un lavoro difficile e complesso ma, sono abbastanza sicuro - commenta Galloni - che i produttori di Montalcino preferiscano intraprendere questo progetto autonomamente piuttosto che attendere che qualcun altro, dall’esterno, lo faccia al posto loro”. “comunque - conclude Galloni - Montalcino è in grado di produrre vini eccellenti ma, è impossibile ignorare quanto il territorio del Brunello sia rimasto indietro rispetto ad altre denominazioni che sono cresciute esponenzialmente nel corso degli anni. È tempo dunque che i produttori di Brunello si mettano a lavoro e si impegnino in modo serio per “risalire la china” e non rischiare di cadere nell’oblio”.

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