“Ricerca storica, attraverso i libri a stampa, su aspetti originali di fatti e notizie sulle origini e sull’evoluzione di Montalcino e dei suoi vini”. Questo è il titolo dello studio di Demetrio Zaccaria, l’imprenditore bibliofilo fondatore, nel 1980, della Biblioteca Internazionale La Vigna di Vicenza, che, nel lontano 1985, partecipò e vinse l’edizione di quell’anno del “Premio Barbi Colombini”, il premio letterario e giornalistico che, negli anni ha visto avvicendarsi sul palco personaggi di grande rilievo. Uno studio non solo accurato ma anche corredato di numerosi documenti italiani e stranieri che ripercorre la storia della viticoltura di Montalcino dal momento che le viti hanno fatto la loro comparsa sul territorio fino ai giorni nostri. Un modo divertente ed estremamente interessante per ripercorrere la storia e la tradizione vinicola, dalle radici profonde e fortemente radicate, di un luogo che per i suoi vini, dalla forte connotazione identitaria, legata indissolubilmente al territorio, e la sua tradizione, è conosciuto, famoso, apprezzato ed elogiato in tutto il mondo.
Da secoli, come ricorda Zaccaria nel suo studio, molto prima dell’avvento del Brunello, la viticoltura ha fatto la sua comparsa sulla collina di Montalcino e, a dimostrazione che questa coltura è sempre stata un’attività primaria per il territorio, esiste tutta una letteratura che probabilmente inizia con Leonardo Alberti (1479 - 1552). Infatti nella “Descrizione di tutta Italia”, egli loda i vini di Montalcino senza però farne alcuna distinzione: “camminando poscia verso Siena si scopre sopra d’un’alto monte, Monte Alcino, da’l Volaterrano detto Mons Alcioni, molto nominato ne’l paese per li buoni Vini che si cavano da quelli ameni colli”. Se l’Alberti non specifica i tipi di vino prodotti a Montalcino, più preciso è Giovan Vettorio Soderini (1526 - 1596) nel suo “Trattato della coltivazione delle viti, e del frutto che se ne può cavare”. Egli cita il Moscadello ma il primo a parlare di questo prodotto a Montalcino è sessant’anni dopo, l’autore tedesco Philippo Jacobo Sachs nella sua “Ampelographia” dove dice “… & in monte Alcino seu Elcino, gustu sapidissimum nascitur, & paratur ex Uva Appiana, rubrum ex uvis parum passis, album ex crudis”.
Nel 1685 nella prima edizione del suo “Bacco in Toscana” il Redi decanta il vino di Montalcino: “del leggiadretto, del sì divino Moscadelletto di Montalcino talor per scherzo ne chieggio un nappo?
Era dunque il vino bianco ad avere un suo nome già all’epoca di Redi, sia a Montalcino che in Italia, mentre il rosso era ancora anonimo, anche se Federigo Melis, nel suo libro, edito nel 1984, “I vini italiani nel Medioevo” scrive: “…già emerge Montalcino - del quale il nome del Brunello ho incominciato ad incontrarlo, però, solamente nel tardo Cinquecento”. Con Giovanni Battista Monti (1498-1551) e i suoi “Cento sonetti e cento brindisi” conosciamo ben tre varietà di uva prodotta a Montalcino, color oro, moro e vermiglio, ma bisogna attendere il 1700 per vedere, nei vini prodotti sul territorio, una personalità più precisa e definita.
Padre Ferdinando Paoletti nel libro “L’arte di fare il vino perfetto e durevole da poter servire al commercio esterno” (Firenze 1789), disdegna i vini bianchi toscani ad eccezione di quelli prodotti a Montalcino che porta come esempio da imitare.
Per oltre un secolo non si hanno più notizie dei vini di Montalcino. nei primi decenni dell’Ottocento un farmacista del luogo si dedicò con amore alla vitivinicoltura locale raggiungendo ottimi risultati. Era Clemente Santi, che già nel 1856, con i suoi prodotti, ottenne riconoscimenti alle Esposizioni di Londra e Parigi. L’anno seguente compare anche nel “Catalogo degli animali riproduttori, macchine, arnesi e prodotti agrari presentati all’esposizione fatta dal 1 al 7 giugno 1857…”.
Quattro anni dopo, all’Esposizione di Firenze del 1861 troviamo un nuovo importante nome legato alla storia dei vini di Montalcino, al numero 11 tra i premiati c’è “Anghirelli Giuseppe di Montalcino (Toscana), per vino detto Abrostine, fortemente colorito”.
Se molto, i produttori di oggi del territorio del Brunello, devono a Clemente Santi, non minore importanza ha, nella storia enoica di Montalcino, il farmacista pistoiese Egidio Pollacci, al quale si deve un notevole progresso negli studi di enologia. Il merito di questo studioso emerge già nel 1864 quando il Comizio Agrario di Siena organizza un Concorso per vini della provincia: a Pollacci viene dato l’incarico di analizzarli e redigere dei dati che poi pubblicherà in una dispensa dal titolo “Analisi chimica dei vini della provincia senese seguita da nozioni pratiche sulla preparazione dei vini comuni, degli aleatici, e dei vini santi. Era la prima volta che questo genere di dati veniva reso pubblico ma è anche la prima volta che, nelle osservazioni, compare il nome Brunello (“n. 38. Il Lambrusco non vi entra che per una quarta parte; il resto dell’uva si compone soprattutto di canaiolo e Brunello”.
Importante è anche la pubblicazione del “Bullettino Ampelografico”, fascicolo VII del 1877, a cura del Ministero dell’Agricoltura, che riporta la relazione dei lavori della Commissione Ampelografica della provincia di Siena: “la sezione di Montalcino ha la regione più fortunata per la produzione dei suoi rinomati vini, nelle colline costituite più specialmente dal Galestro e dall’Alberese, all’altezza di circa 500 metri sul livello del mare. Tra i suoi vitigni più coltivati è fda notare il Brunello, fra le uve nere, ed il Moscadello ed il Procanicofra le uve bianche, che danno i due vini, Brunello e Moscatello, già fin dall’antico ben noti” e vengono forniti tutti i dati relativi al Brunello di Montalcino, raccolto nel dì 8 ottobre 1875.