Promuovere il Brunello: dovere o possibilità?

Cantina con Botti di Brunello di MontalcinoMontalcino è un territorio importante, dove nasce un prodotto di eccellenza quale il Brunello conosciuto, premiato, apprezzato e bevuto in ogni angolo del pianeta. Ma è anche un distretto che, per crescere, svilupparsi e rimanere al top sia per fama che sul mercato, ha bisogno del lavoro di tutti coloro che sul territorio operano. E il futuro sul mercato di un prodotto è legato indissolubilmente alla promozione costante.
Come si può riuscire, a Montalcino, a mantenere il Brunello, oggi e in futuro, sulla “cresta dell’onda”? Le piccole cantine dovrebbero, in un era in cui, attraverso blog e social network, connettersi con il mondo è diventato un “gioco da ragazzi”, dedicarsi, non solo a produrre ottimo vino, ma anche a parlare di sé e comunicare la propria storia e il proprio lavoro. Per il Consorzio, invece, investire in comunicazione risulta essenziale e, in un momento di spending review, come trovare risorse da investire per fare in modo che il mondo continui a parlare di Brunello?
Ogni consorziato, per essere socio, paga ogni anno una quota che, per ogni cantina, varia a seconda delle quantità di uva (20 centesimi per quintale), di vino (20 centesimi a ettolitro) e di bottiglie (11 centesimi a bottiglia) prodotti. Cifre abbastanza irrisorie considerato il valore intrinseco del Brunello e che questo ha sul mercato, soprattutto se si considera che le quote sono da anni invariate (l’unico aumento riguarda il valore a bottiglia che, nel 2010 ha subito un rialzo di un centesimo). Perché, allora, non rivedere le quote, anche solo di qualche centesimo, ed investire sulla comunicazione, sulla promozione e la valorizzazione di un marchio che ha potenzialità di crescere e svilupparsi ulteriormente su un mercato, quello mondiale, che cerca in un prodotto identità, originalità, unicità ed eccellenza, caratteristiche che il Brunello, più di ogni altro vino al mondo, possiede? Un distretto che crea prodotti di eccellenza, infatti, nasce, cresce e si sviluppa grazie a molte componenti che funzionano solo integrandosi e amalgamandosi l’una con l’altra e agendo con un obiettivo comune.
Al di là della sua nascita, legata indissolubilmente alla famiglia Biondi Santi, è proprio attraverso la commistione di forze che Montalcino e il distretto del Brunello si è sviluppato. Erano i lontani anni ’70 quando, grazie soprattutto agli investimenti “stranieri”, si concretizzò una realtà già presente, formata allora da pochissime aziende, quella della produzione di un vino dalla forte connotazione identitaria e unico nel suo genere: il Brunello. Ma gli investimenti, se non accompagnati dall’amore per la terra, dalla cura meticolosa della vite, e del vino che mani sapienti producono, non bastano a fare di un territorio e di un vino un qualcosa di unico e irripetibile che tutto il mondo ama e richiede. C’è bisogno di una costanza nella qualità di produzione, ma anche di una sapiente comunicazione che va dal descrivere il territorio nelle sue varie sfaccettature alla promozione del vino unico e irripetibile che qui si produce. Per fare questo c’è bisogno che grandi produttori e cantine a conduzione familiare si uniscano, in una forza unica e comune che faccia conoscere sempre di più il Brunello, comunichi il territorio nella sua interezza e richiami, sul territorio, turismo “specializzato” già molto attivo - il 15/20% della produzione enoica di Montalcino viene venduta in loco - ma che ha bisogno di essere intensificato, che venga per acquistare, in patria, il tanto amato Sangiovese.
Ma questo non sempre accade a Montalcino dove, al di là dell’indiscutibile qualità del prodotto ampliamente diffusa, esistono due realtà diverse: da una parte, ci sono le cantine che, nel tempo, si sono riuscite a ritagliare, grazie a premi, capacità imprenditoriali e di comunicazione, uno spazio sul mercato: queste hanno propri canali di promozione e viaggiano come “battitori liberi”. Ma esiste anche una realtà, quella delle cantine che non riescono ad emergere, in un mondo, duro e agguerrito, dove il prodotto di qualità vince se sa parlare di sé e sa convincere attraverso la comunicazione aziendale e di territorio. Come è vero che ogni cantina può e deve sfruttare, singolarmente, i propri mezzi per emergere sul mercato, è altrettanto vero che, in un territorio come Montalcino, dove si produce un vino che è patrimonio di tutti, è necessario che organi ed enti “super partes” lavorino per la difesa e la promozione di un marchio che rappresenta, nel mondo, il territorio nella sua interezza. Ed è anche per prodotti di eccellenza come il Brunello che nascono, si sviluppano e vengono sostenuti i Consorzi che, oltre a tutelare marchi e disciplinari di produzione, hanno anche il compito di comunicare e promuovere il vino e il territorio in cui questo viene prodotto.
Il consumatore cerca, in un prodotto, non solo la qualità, ma, soprattutto per vini d’eccellenza come il Brunello, l’unicità. E questa è legata obbligatoriamente alle sue radici: il territorio in cui il vino è prodotto che ha caratteristiche proprie, originali, autentiche ed esclusive fatte di storia, fatti e vicende ma anche di cultura, personaggi e paesaggi. E come può, chi stappa una bottiglia di Brunello, assaporare tutto questo bagaglio di “emozioni”, se non attraverso la conoscenza, la consapevolezza e comprensione di ciò che un territorio e il suo prodotto principe rappresentano? Il pericolo per Montalcino è quello di andare incontro ad una battuta d’arresto nella crescita di molte cantine che, pur producendo un vino dalle ottime potenzialità, non riescono ad ottenere un posto di rilievo sul mercato, posto che magari anche potrebbero meritare. È essenziale non abbassare la guardia e credere che il Brunello, già conosciuto e famoso nel mondo, non abbia bisogno di essere comunicato, raccontato e descritto. Anche quando il prodotto è di qualità indiscussa, come lo è il Brunello, non è pensabile che, per vendere non sia necessario difenderlo, “spingerlo” e promuoverlo correttamente attraverso operazioni mirate di comunicazione e marketing non solo aziendali ma collegiali, integrandole, ed utilizzando il territorio, che è proprietà collettiva, nelle sue varie sfaccettature per far capire ai consumatori e agli enoappassionati l’unicità, l’irripetibilità, la bellezza che qui si produce.

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