“La differenza tra la zona estrema nord-ovest e sud-ovest della Docg è particolarmente marcata, come la vegetazione circostante dimostra. Nel territorio c’è un po’di supporto all’idea di dividere l’area in diverse sottozone, anche se i giornalisti (me compreso) sembrano essere più pronti su questo tema rispetto ai produttori”. Così l’inglese Tim Atkin, “Master of Wine” e giornalista de “L’Economist” spiega la sua posizione sulla “zonazione” - studio mirato di un territorio al fine di ripartirlo in zone omogenee - nello “Special Report 2013 Brunello di Montalcino”.
Il terroir di Montalcino è una collina, da molti definita una “piramide” che sorge sulle valli del Senese e del Grossetano, una conformazione che “ipoteticamente” si presterebbe morfologicamente ad essere suddivisa in più aree divise per versanti e altitudini.
“Il fascino del Brunello sta nella sua diversità - dice Atkin - questa piccola regione pittorica nel sud della Toscana, infatti, non produce un vino dallo stile unitario, perché il Sangiovese ha una notevole capacità di esprimere il luogo in cui è coltivato. A metà degli anni 1990, nel territorio di Montalcino c’erano solo 120 produttori, oggi ce ne sono più di 250 e molti degli impianti si sono diffusi fuori dalla area originale intorno alla città e si sono espansi in ogni angolo della Docg. L’espansione, però, sia della superficie vitata che del volume di prodotto, non ha sempre giovato a Montalcino o migliorato l’immagine del Brunello ma, certamente ha portato un sacco di energia per il territorio”. Una posizione, quella sulla “zonazione”, sostenuta, nell’aprile 2012, anche da Kerin O’Keefe sul magazine inglese “Decanter”, quando spiegava che “gli amanti del Brunello sarebbero felici di una suddivisione in sottozone, ma che questa sarebbe una strada costellata di difficoltà e polemiche, soprattutto da un punto di vista politico”.
Non solo i giornalisti stranieri anche Attilio Scienza, uno dei massimi esperti italiani di viticoltura, sostiene da anni che la zonazione sarebbe un valore aggiunto per Montalcino. Non andrebbe intesa come classificazione, bensì come indagine volta a fornire informazioni sul terroir a consumatori e produttori. In molti dunque, dai giornalisti, agli operatori di settore, passando per blogger e semplici “wine lovers”, parlano di zonazione soprattutto quando si trovano a degustare più etichette di Brunello di Montalcino della stessa annata. Una diversità e una mancanza di omogeneità sulla stessa annata, che vanno al di là del mero giudizio qualitativo, che Atkin spiega così: “qualunque cosa sia, a Montalcino non ci si annoia mai e, anche nelle annate dette a cinque stelle come il 2006 e il 2004, la qualità dei Brunello è tutt’altro che omogenea. E il 2007 e il 2008 non si discostano molto da questa linea”.
Un discorso molto ampio, questo della zonazione, che potrebbe andare di pari passo con uno studio approfondito sul vitigno “re” di Montalcino. Analizzare nel dettaglio la coltivazione e la resa qualitativa del Sangiovese, una delle tipologie di vite tra le più difficili da lavorare e che non “attecchisce” allo stesso modo ovunque potrebbe, forse, dare ragione a chi, negli anni, ha creduto e proposto la differenziazione delle varie zone di produzione nel territorio di Montalcino. Ma questa è un’altra storia, che forse varrebbe la pena prendere in considerazione, valutare e magari affrontare, aprendo un dibattito nei luoghi giusti, opportune e idonei.
dati a cura di 3BMeteo
14 dicembre 2024 19:30