Dalla penna del Corriere della Sera, Paolo Mieli (direttore de La Stampa dal 1990 al 1992 poi del Corriere della Sera dal 1992 al 1997 e dal 2004 al 2009, oggi presidente di RCS Libri), che ieri in un suo pezzo ha tracciato il profilo sui martiri dell’Inquisizione romana - creata il 21 luglio 1542 ai tempi di Paolo III (Alessandro Farnese) - ripercorriamo la storia di uno di loro, a cui Montalcino dette i natali: Giovanni Buzio, più noto come Giovanni Moglio (il nome deriva dallo storpiamento della città natale, appunto Montalcino). Ed è John Foxe che, nel suo martirologio, ci racconta la storia del frate di Montalcino. Giovanni, a causa della povertà della sua famiglia, fu fatto entrare, ancora giovanissimo, nell’Ordine francescano: studiò a Ferrara e divenne famoso sia come insegnate che come predicatore a Brescia, Milano, Pavia e Bologna. Fu proprio nella città delle Torri degli Asinelli che diffuse con successo le dottrine della Riforma facendo dei proseliti. Accusato di eresia, Giovanni Moglio fu convocato a Roma dove riuscì a discolparsi, ma, tornato a Bologna non rispettò il divieto di predicare e fu allontanato dalla città per essere trasferito al convento di S. Lorenzo a Napoli. Ma anche qui ebbe dei problemi e, per l’ostilità del viceré, don Pedro di Toledo, e di un predicatore rivale di nome fra’ Teofilo, fu costretto a lasciare Napoli.
Giovanni Buzio da Montalcino, non credeva nelle indulgenze e nel Purgatorio, fu imprigionato, per la prima volta a Faenza, dove compose un commentario sulla Genesi, e, dopo il rilascio si stabilì poi a Ravenna. Fu infine nuovamente arrestato, e messo a morte a Roma nel 1553, ma prima di morire, durante il suo autodafé, una cerimonia pubblica in cui veniva eseguita la condanna decretata dall’Inquisizione, fece un discorso nel quale accusò violentemente i cardinali inquisitori suoi persecutori.
I fatti certi nella vita di Giovanni Moglio sono pochi e, benché secondo la tradizione egli fosse stato la persona che più influì sulla rapida diffusione di dottrine protestanti a Bologna negli anni trenta del ’500, il suo nome non appare mai nei documenti relativi alla eresia bolognese.
Sappiamo però che dopo la sua morte, cominciò a circolare una lettera, apparentemente scritta da un testimone oculare degli eventi, che riferiva il coraggioso discorso da lui pronunziato il giorno della sentenza, alla presenza dei cardinali inquisitori e della plebe romana. La lettera fu pubblicata nel 1554, probabilmente a Strasburgo, col titolo “Historia de Montalcino Romae interfecto propter fidei confessionem, Nonis Septembrib. Anno 1553”, e fu tradotta e pubblicata quasi contemporaneamente in tedesco, forse ancora a Strasburgo, col titolo “Warhafftige Historia”. L’importanza di Giovanni Moglio negli annali della Riforma risale probabilmente a queste pubblicazioni che certamente ebbero ampia circolazione nel mondo protestante. Sfortunatamente esse non forniscono notizie biografiche. L’unico altro accenno contemporaneo alla sorte di Giovanni è in una lettera di Gaudenzio Merula a Giovanni Calvino (Torino, 27 apr. 1554) che comunica che “Montemalcinum qui libere praedicabat evangelium… Romae fuisse combustum”. Il fratello ed erede, Agostino, che tra il 1553 e il 1554 fu a sua volta sospettato di eresia e incarcerato, è probabilmente da identificarsi con l’agostiniano Frà Agostino da Montalcino, che ebbe un ruolo eminente nella fase bolognese del concilio di Trento (primavera 1547).
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29 novembre 2024 08:00
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