Al secolo Francesco Santini, nato a Montalcino il 14 dicembre 1809 e battezzato nella Chiesa di Sant’Egidio, soprannominato “Gobbo Saragiolo”, per una sua caratteristica fisica, è uno dei fantini del Palio tra i più conosciuti di tutti i tempi. Il suo esordio in Piazza del Campo, alla tenera età di 14 anni, è subito vittorioso e lascia intravedere una carriera brillante. Con 15 Palii vinti non teme rivali. Corre per molte Contrade, anche nemiche fra loro (tra tutte Oca e Torre), e le cronache delle sue gesta fanno emergere la personalità del fantino di Piazza: abile, astuto, prepotente, avido di gloria e denaro. Lo stile di Santini nel “Campo” è spesso lo stesso anche nella vita quotidiana con testimonianze di arresti per insolenza, turpiloquio, ingiurie e corruzione. Saragiolo, il fantino di Montalcino, occupa le pagine più intense del Palio di Siena.
Focus - La Carriera del Santini
Fabbro di professione (mestiere ereditato dal padre), corse il Palio di Siena ben cinquantanove volte tra il 1823 ed il 1860. Vestì i giubetti di quattordici Contrade, solo Aquila, Civetta e Lupa non lo montarono mai. Piccolo (una stampa dell’epoca, in occasione della prima vittoria, lo descrive alto 2 braccia, cioè circa 120 cm, e di 80 libbre di peso, cioè appena 36 kg) e gobbo (per questo il soprannome), incantava Siena con la sua abilità col nerbo, la sua freddezza e la sua capacità di vincere anche con barberi di poche pretese trasformandoli in campioni, doti che ne fecero un mito anche presso i suoi contemporanei. In Piazza del Campo esordì giovanissimo: non ancora quattordicenne difese i colori della Chiocciola, al Palio dell’Assunta del 1823, riportando una sorprendente vittoria sul baio scuro di Stanislao Pagliai, uno dei cavalli più vittoriosi della storia del Palio di Siena. Dovettero però passare sei anni prima di rivederlo vincere: cosa che fece alla grande, conquistando il proprio cappotto personale nel 1829. Le Contrade quasi lo pagavano a peso d’oro per averlo. Tra tutte la contesa tra le due grandissime rivali Oca e Torre, che già all’epoca si davano battaglia per guadagnare il maggior prestigio cittadino. Le dirigenze dei due rioni cercarono in ogni modo di guadagnarsi la fiducia del Gobbo Saragiolo. Ma lui, ambendo per lo più al denaro e lontano da ogni tipo di influenza contradaiola, vestì sia il giubbetto di Salicotto che quello di Fontebranda: per l’Oca corse nove Palii (vincendone tre), per la Torre ne corse 11 (vincendone cinque). Il suo più grande rivale in Piazza fu Francesco Bianchini detto Campanino; ma i loro scontri andarono ben oltre la corsa, sfociando in un grave episodio di cronaca. Accadde infatti che nel novembre 1838 proprio Campanino fu coinvolto in una rissa in occasione di una corsa a Castelnuovo Berardenga, e provocò l’uccisione del barbaresco del Gobbo Saragiolo. Lo stesso Gobbo si rese protagonista di alcune scorrettezze nei confronti degli altri fantini. In generale, il Gobbo non era amato dai suoi colleghi: come riportato dagli storici, “è odiato da tutti i fantini perché fa delle prepotenze”.Il Gobbo Saragiolo visse nell’esclusivo interesse per i soldi e non c’è dubbio fu un vero e proprio mercenario.
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Focus - Le birbanterie del Gobbo Saragiolo
Se, fra i fantini di tutti i tempi si dovesse eleggere il fantino ideale, il “fantino della storia”, la palma andrebbe a lui, al Gobbo Saragiolo e non solo per l’insuperato numero di vittorie. Le cronache delle sue gesta fanno emergere un campionario di vizi e di virtù che fanno del Gobbo Saragiolo il prototipo del fantino di Piazza. Il Sergardi racconta che nell’agosto del 1832, quando vinse il Palio nell’Oca, “per colmo di birbanteria si era tutto insaponato, perché se mai fosse stato preso, non potessero fermarlo, atteso lo scivolo”. Forse avrebbe dovuto ripetere l’operazione al Palio successivo, quando, correndo ancora nell’Oca, fu fermato da Campanino, fantino della Civetta e l’episodio è così commentato dal Bandini: “…il fantino della Civetta…, gli diede molte nerbate che restò sciabordito che al Casato non sapeva ove andare con piacere delli adunati per la Contrada dell’Oca che voleva vincere per forza… quello dell’Oca… è odiato da tutti i fantini perché fa delle prepotenze”. La birbanteria del Gobbo Saragiolo si manifestò ancora il 2 luglio 1855 quando, correndo nella Selva, al secondo giro andò a dritto a San Martino e, come racconta il Comucci “seri e gravi indizi mostrarono che egli avesse l’animo di eliminarsi dalla pista. Infatti, appena entrato in San Martino, fermò subito il cavallo, ne discese, si tolse l’uniforme della contrada e si rivestì dei propri abiti che un suo figlio nascostamente li aveva recati, anziclx. secondo la consuetudine in contrada”. Il giorno successivo ai due selvaioli che gli chiedevano spiegazioni il Gobbo Saragiolo rispose: “Ma che dovevo vincere per voialtri miseroni che mi davi 140 monete, quando ne ho guadagnate 170?” Per 30 vili monete il Gobbo aveva tradito la Selva: un atto ignobile, anche se si deve ammettere che per la stessa cifra Giuda fece di molto peggio.
La fedina penale
2 luglio 1828 Venne scarcerato per una condanna per “arbitrio e insolenza verso Giovanni Batazzi capitano della contrada del Drago”.
24 luglio 1832 Venne condannato per “contravvenzione sulle corse veloci dei cavalli”.
24 ottobre 1833 Venne condannato in “ore 6 di sequestro nel Pretorio per ingiurie a danno di Carlotta Bartaletti e per il turpiloquio”.
8 marzo 1836 Venne condannato per “rissa clamorosa e turpiloquio, e più particolarmente per le espressioni da esso proferite verso Maria Vergine nella circostanza di detta rissa; in due giorni di carcere con uno dei quali in segreta a solo pane, ed acqua”.
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